La recensione di 1997: Fuga da New York: iI gioiello post-apocalittico del regista di culto John Carpenter.

1997: Fuga da New York - Recensione
1997: Fuga da New York – Recensione

Sul finire degli anni Settanta, lanciato dal successo di “Halloween” (1978), John Carpenter fu autore di molte sceneggiature (“Eyes of Laura Mars“) filmate anche a distanza di molto tempo. In questo periodo, i film con un eroe solitario e macho come protagonista trovavano sempre più mercato: anche l’ispirazione per “1997: Fuga da New York” risale a questa fase della carriera del regista, affascinato inoltre dal mondo sci-fi, sua passione sin da bambino. Di recente, questo cult è stato rimasterizzato in HD ed è entrato a far parte della collana “Il Collezionista” della Eagle Pictures.

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Secondo film del contratto firmato con la Avco dopo “The Fog” (1980), il lungometraggio dipinge la Grande Mela come il carcere di massima sicurezza nel quale vengono confinati i criminali degli Stati Uniti. In questo futuro distopico e imperialista, la città diventa fonte di grande tensione sia per lo spettatore che per il protagonista, calati in una società parallela sconosciuta. Sviluppatasi indipendentemente grazie all’assenza di controllo interno da parte delle autorità, la prigione rappresenta la società in cui prevale il più forte: il suo tessuto è eterogeneo (i criminali si dividono in fazioni) e il suo ordinamento tribale. Si tratta della società del prestigio, dove abiti e automobili sono segni distintivi di rango sociale. Un po’ come la nostra, senza ipocrisie.

L’iconico protagonista, Snake Plissken (Iean Plissken in Italia), dall’attitudine alla Clint Eastwood e dal nome sibilante, è sicuramente il più amato della produzione carpenteriana dopo Michael Myers. Per la riuscita interpretazione il registra dà molti meriti al mitico Kurt Russell, collaboratore ricorrente che ha anche suggerito l’idea che Snake dovesse indossare una benda sull’occhio. La sua missione? Salvare il Presidente degli Stati Uniti (Donald Pleasence) da New York, dove si è paracadutato a causa di un dirottamento messo in atto da un manipolo di ribelli sull’Air Force One. Breaking out is impossible. Breaking in is insane.

Solo Snake (uomo assoldato dal sistema) e il Presidente riescono a scappare: traspare un senso di inevitabilità dettato dalle decisioni dell’invisibile macchina del potere, alla quale non c’è scampo. I condannati non possono essere salvati. Interessante inoltre il tema del compromesso: i reietti (prigionieri) si trovano inaspettatamente in una posizione di forza sulla quale far leva per cercare di riconquistare la libertà (il Duca, antagonista della pellicola, pensa a liberare tutta la città, come fosse un capo-tribù); Plissken, dal canto suo, viene invece ricattato. L’astuzia umana rappresenta dunque l’ago della bilancia: gli uomini del governo (imperialista), però, giocano sporco.

La location è una componente fondamentale, come sempre in Carpenter: trasmette un’atmosfera lugubre, suburbana, sudicia. È stato girato fra Los Angeles, Saint Louis, Atlanta e, ovviamente, New York. L’idea di NYC come luogo infernale è un topos che la storia del cinema aveva già esplorato dalla fine degli anni Sessanta, ma soprattutto nel decennio successivo (“Serpico“, 1973). Nel film si nota anche una presa di posizione politica di Carpenter, che critica (come già in “The Fog“) la strategia americana del suo tempo. Esemplificativa in questo senso la battuta di Snake: “I don’t give a fuck about your war or your President (non me ne frega un nulla della tua guerra o del tuo Presidente), che ricorda un mix fra Reagan e Nixon. Un’altra frase decisamente eloquente, che svela l’opportunismo del potere, viene pronunciata dal Presidente stesso: “Goddamn redskins, they’re savages!(Maledetti pellerossa, sono selvaggi!). Siamo inconsciamente indotti a compattarci contro il “diverso” solamente per convenienza.

Il mondo di “1997: Fuga da New York” incarna un’ipotesi plausibile? Il nostro presente è certamente sempre più intollerante verso il “diverso” (di cui si parlava sopra). Si tratta di un luogo in cui omologarsi in una massa o in un’altra (anche di tipo “alternativo”) rappresenta un’ancora di salvezza in tempi che hanno fatto a pezzi alcuni punti di riferimento per l’individuo comune. Sono sicuramente discussioni trite e ritrite, ma che possono fornire alcuni spunti interessanti per riflettere.

Chiudiamo con l’angolo delle curiosità: un gruppo di prigionieri che vive nel sottosuolo, dall’aspetto e dal comportamento tipo-zombie, viene chiamato in lingua originale “crazies“, cioè come un grande film di George A. Romero in cui delle creature simili minacciano la sicurezza e la morale pubblica. Il regista de “La notte dei morti viventi” viene omaggiato ulteriormente: il braccio destro del Duca, personaggio decisamente “schizzato” e fuori dal comune, si chiama proprio Romero. Viene nominato anche l’agente Cronenberg, altro celebre collega di Carpenter.

Titolo: 1997: Fuga da New York
Titolo originale: 1997: Escape from New York
Regia: 
John Carpenter
Attori: Kurt Russell, Lee Van Cleef, Ernest Borgnine, Donald Pleasence, Isaac Hayes
Genere: Fantascienza, Post-apocalittico
Durata: 99 minuti
Anno: 1981
Paese: USA

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Simone Senna
I nati negli anni Novanta hanno un debito verso i Piccoli Brividi: io continuo a pagarlo mangiandomi tutto l'orrore possibile. Classici di carta o in pellicola, perle nascoste e colonne sonore da urlo. Nutrici, paura!
1997-fuga-da-new-york-recensioneIn un mondo post-apocalittico, New York è diventato il carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti d'America. L'iconico protagonista è il poco loquace ma letale Snake Plissken. La sua missione? Salvare il Presidente dalla Grande Mela, dove si è paracadutato a causa di un dirottamento messo in atto da un manipolo di ribelli sull'Air Force One. Breaking out is impossible. Breaking in is insane.