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American Horror Story: Cult 7×02 – Recensione

American Horror Story: Cult - Recensione 7x02
American Horror Story: Cult - Recensione 7x02

Abbiate molta paura del buio! Ecco la recensione di “American Horror story: Cult” episodio 7×02

American Horror Story: Cult – Recensione 7×02

[Attenzione! L’articolo può contenere spoiler!]

“Le persone crederanno a quello che vorranno credere. Il trucco è capire cosa vogliono credere e dargli esattamente quello.” Queste parole, pronunciate da Winter (Billie Lourd), sono il riassunto perfetto per la seconda puntata di “American Horror Story: Cult”. Infatti, centro di “Don’t Be Afraid Of The Dark” è l’informazione: come viene ricevuta, percepita e distorta. L’informazione come arma di suggestione, di distruzione, di paura.

Primo esempio tra tutti è il caso di Kai (Evan Peters) che, facendosi pestare di proposito da un gruppo di immigrati messicani, crea un caso mediatico virale che si fa subito politico. Kai conosce bene le regole del gioco. Sfruttando l’ansia di notizie e l’odio razziale, manipola le informazioni per diventare una vittima, per apparire “vulnerabile” come un normale cittadino modello. Trasforma così qualsiasi straniero in un capro espiatorio ideale. Tutto secondo i suoi piani: il caos per spaventare la massa, la paura per controllarla.

Il primo passo verso la sua scalata al potere porta Kai a candidarsi come membro del consiglio comunale, cavalcando l’onda del suo caso perché giustamente “le persone crederanno a quello che vorranno credere.” In tempi così incerti, le persone hanno bisogno di certezze e non c’è cosa più facile da credere che “il diverso” sia colpevole. Infatti, dal clamore mediatico alla xenofobia è un attimo e in città chiunque non sia caucasico ne viene colpito. Non c’è spazio per i dubbi o i buonismi, perché “è tutto facile finché non vengono a cercare te” (cit. Kai).

So cosa starete pensando. Kai, con quei capelli blu e il suo passato burrascoso, è ancora un po’ un “freak” per la comunità, ma non fatevi ingannare. Con il pestaggio, Kai ha furbescamente lavato via il suo passato. Rendendosi vulnerabile e puntando i riflettori su un “nemico” più pericoloso, ha fatto dimenticare i suoi precedenti, può trasformarsi così in un “redento” e iniziare la sua carriera politica.

In questo episodio, Ryan Murphy mette in luce un difetto allarmante che ci mette tutti in pericolo. In una società d’informazione come la nostra, l’informazione è un’arma e le persone non sono solo il bersaglio, ma anche la pistola. Le persone sono ricevitori che possono ricevere non solo un messaggio distorto, ma distorcerlo a loro volta a causa del desiderio, del pregiudizio e della diffidenza. Nessuno è al sicuro da questo, tutti potremmo subirne le conseguenze, perché in una società così le persone oscillano tra la totale diffidenza e la credulità completa. In fondo, una cosa è automaticamente vera, se è scritta su Facebook, giusto?

American Horror Story: Cult – Recensione 7×02

Facebook come fonte di informazioni attendibili… la tragedia reale è che c’è gente che ci crede davvero. I contenuti dei social network sono ritenuti una forma genuina di sincerità, non certo solo la facciata che si vuole mostrare o un insieme di tante maschere.

Siamo una società di consumo. Con tutti i prodotti che ci sono, possiamo trovare ogni cosa su misura per noi, dai vestiti ai programmi televisivi, ma è così anche per le verità. Ci sono tante verità a disposizione e le persone hanno l’imbarazzo della scelta: possono adeguarsi ad una di esse oppure costruirsi su misura la loro verità. Anche una falsa verità. In un mondo così ambiguo, la gente non si può permettere di mettersi in dubbio. Non c’è spazio per le bugie. Così come “siamo a nudo” sui social, lo dobbiamo essere nella realtà. Questa è la filosofia del nuovo millennio. Almeno secondo i nuovi vicini di Ally (Sarah Paulson) e Ivy (Alison Pill).

I vicini, Harrison e Meadow Wilton, fanno parte dei clown del caos? Così come Kai? Tutto fa pensare di sì. Anzi, i Wilton, oltre che confermare la versione di Kai sul pestaggio, lasciano una pistola nelle mani di Ally, visibilmente debilitata da una crisi emotiva. Anche i clown sembrano contribuire attivamente a minare la psiche già instabile di Ally che, insieme alla sua compagna, sono le uniche a cui interessa la verità e la giustizia. Ally si sta chiudendo sempre di più in se stessa, mentre le sue fobie contaminano lentamente sia il suo rapporto con Ivy che i sogni di Oz, popolati da orrendi clown tra cui Twisty (John Carroll Lynch), nostra vecchia conoscenza di “Freak Show”.

La tragedia è all’orizzonte e la discesa nel terrore è ancora lunga.

NB. Finalmente, abbiamo scoperto il vero nome di Oz: OZYMANDIAS. Con tale scelta, le due mamme confermano ancora una volta lo stretto legame con le proprie idee politiche e il desiderio di cambiamento. “Ozymandias” è il titolo di uno dei sonetti più famosi di Percy Shelley, il poeta romantico marito di Mary Shelley, l’autrice di “Frankenstein”. L’opera tratta del declino degli imperi e la caduta dei potenti, inevitabili nonostante al loro apice potessero apparire eterni.

La mia seconda teoria, altrimenti, è che Ally e Ivy siano fan di “Watchmen” di Alan Moore o di  “Alien Covenant” di Ridley Scott. Scegliete voi a cosa credere.

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