Il potere di Kai Anderson. Ecco la recensione di American Horror story: Cult episodio 7×04.
[Attenzione! L’articolo può contenere spoiler.]
8 novembre 2016. La notte delle elezioni. Il momento in cui tutto è cambiato. Conosciamo bene cosa quell’evento ha scatenato nelle vite dei nostri protagonisti, ma cosa ha condotto loro sulla strada dell’incubo?
La quarta puntata di questa settima stagione è un viaggio a ritroso nel tempo che chiarisce alcuni particolari fondamentali riguardo ai legami di vari personaggi, non senza qualche colpo di scena. Protagonista dell’episodio è quel drago di bravura di Evan Peters che dimostra ancora una volta il suo grande talento. Dopo averci regalato personaggi come Tate e James Patrick March, con Kai Anderson Peters crea un altro “mostro”, intenzionato a mettere a ferro e fuoco il mondo con il potere della paura.
Kai si dimostra un grande manipolatore, un giocoliere delle parole in grado d’irretire chiunque con la propria influenza. Grazie alla sua grande capacità d’osservazione e alla sua perspicace comprensione dell’animo umano, Kai in poche battute diventa tutto ciò di cui ha bisogno la persona che ha di fronte a sé.
Come il Joker di Batman, non ha un “passato”: riscrive le proprie origini a seconda di chi vuole far suo, perché non è importante la verità, bensì ottenerne la fiducia. Infatti, non è necessario alcun tipo di costrizione, se si può sfruttare il potere della Fede. In questo modo, così semplice e raffinato, Kai attira a sé Harrison, fino al punto di fargli uccidere un uomo, e convince la disillusa Beverly Hope a “credere in lui”, assumendosi la colpa del delitto della giornalista avversaria Serena Belinda (Emma Roberts). Dunque, se Kai ha rivolto il suo sguardo verso Ally, probabilmente è perché la vuole e ha compreso che solo obnubilata dalla paura e messa con le spalle al muro avrà la possibilità di portare la donna dalla sua parte.
Pare proprio, quindi, che sia Anderson a capo del gruppo dei clown del caos. Ne abbiamo “conferma” quando Kai disegna il loro simbolo sul vetro davanti a Harrison e quando conferma d’essersi occupato di Serena. Eppure c’è qualcosa che non torna. Sembra troppo facile questa supposizione, tanto da diffidarne, conoscendo Ryan Murphy. Oppure, proprio per la facilità di tale collegamento, questa sorta di “setta di clown” deve nascondere per altro.
Kai Anderson, inoltre, non è l’unica parte che Peters interpreterà in questa stagione, ma solo il primo di sei personaggi, tra cui Charles Manson e Andy Warhol, leader precedenti della setta di cui Anderson è parte. Per vedere questa eccezionale trasformazione, però, dovremmo attendere le ultime puntate a quanto pare!
Winter, la sorella di Kai, sebbene sia contraria alle idee fraterne, continua a dimostrarsi non migliore di lui. Infatti, già prima che entrasse in casa Mayfair-Richards come tata, Winter conosceva Ivy, con cui è complice di rapimento. La ragazza trascina Ivy nell’impresa al fine d’impedire a Gary, misogino repubblicano che l’ha molestata, di far valere il suo voto. L’importanza di farsi sentire, di contare qualcosa, d’esistere tanto da arrivare a mutilarsi per riottenere questo diritto. Infatti, Gary, il gestore dello store già visto nella prima puntata e che abbiamo la conferma d’essere dalla parte di Kai, è protagonista di una delle scene più simboliche ed estreme di questa stagione.
“Cult” dimostra ancora una volta di avere un doppio canale di comunicazione con lo spettatore: uno lineare (semplicemente quello che vediamo) e uno allegorico. Infatti, mai come in “Cult”, si era fatto così uso di messaggi e simboli che stimolano lo spettatore a pensare e a riflettere, oltre che a godersi lo spettacolo. Un’altra dimostrazione del talento di Ryan Murphy.