Carrie – Lo sguardo di Satana: un cult del cinema horror sempre attuale da riscoprire
“Quasi nessuno scopre mai che le sue azioni feriscono davvero gli altri. La gente non migliora, diventa solo più furba. Quando diventi più furbo, non smetti di strappare le ali alle mosche, cerchi solo di trovare dei motivi migliori per farlo.”
Carrie, Stephen King
Nata dall’affilata penna di Stephen King ormai quarantaquattro anni orsono, la storia della giovane Carrie White è diventata da tempo un cult del genere horror. Una vicenda cruda, narrata con l’implacabile brutalità di un fatto di cronaca nera.
Non è un caso, quindi, che nel 1976 il regista Brian De Palma ne trasse una delle pietre miliari del cinema dell’orrore. Grazie alla sua sensibilità spiccata, De Palma riuscì a rendere al meglio questo romanzo di formazione dalla grande valenza sociale.
Carrie, infatti, non usa per spaventare i temi più classici del genere, bensì è una storia figlia degli anni ’70, che racconta la nuda crudeltà dell’America perbenista, sotto cui si cela il vero orrore. Il turbamento che provoca negli spettatori è quello prodotto dal disagio reale, dalla violenza psicologica verosimile (e ancora molto attuale) che la giovane protagonista vive sulla propria pelle. Vessata dai bulli a scuola, Carrie (Sissy Spacek) è isolata e marchiata da quei “bravi ragazzi” che una comunità, cieca e meschina, tende a giustificare e a proteggere. Quegli stessi bravi ragazzi che, simboleggiati da Chris Hargensen (Nancy Allen), credono sia loro diritto e dovere punire Carrie per la sua diversità.
Il vero male, dunque, non si cela in vampiri o fantasmi, ma in una normalità abitata da mostri umani che coi gesti più insignificanti, come il peso di un certo sguardo o il suono di una risata, uccidono lentamente Carrie. Una morte, forse, non fisica, ma ugualmente molto reale. Carrie, tuttavia, sebbene dimostri una silente resistenza d’animo iniziale, non ha posto in cui nascondersi dal male. Neppure là dove al più adulto dei bambini non viene negato rifugio nei momenti più duri: la famiglia. Con la signora White (una mirabile Piper Laurie nella pellicola), King descrive uno dei suoi personaggi più agghiaccianti di cui abbia mai scritto, in cui il fanatismo religioso deforma l’amore materno e abusa della vita di una figlia.
Sia nel romanzo che nel film, dunque, siamo portati ad affacciarsi su uno spaccato d’esistenza di un “perdente”, così come accadrà con Arnie Cunningham in Christine, la cui rivincita spesso non è solo un incubo per i carnefici, ma travolge e consuma anche loro stessi. Sebbene si guardi con rimpianto verso gli anni della fanciullezza, l’adolescenza è un percepita come un momento di traumatica trasformazione verso l’età adulta.
Ciò che è diabolico non è Carrie, quindi, ma il “diavolo”, metafora di un profondo disagio che diventa furia vendicativa, entra a forza nella ragazza a causa delle persone. Come ci insegnava Mary Shelley in Frankentstein, infatti, non si nasce mostri: lo si diventa spesso per opera degli altri. E così Carrie, ragazza dimessa e sensibile, scatena tutto il livore degli anni in una delle scene più iconiche della storia del cinema.
Un monito per tutti i bulli, passati e futuri.
Titolo: Carrie – Lo sguardo di Satana
Titolo originale: Carrie
Regia: Brian De Palma
Attori: Sissy Spacek, Piper Laurie, Amy Irving
Genere: Horror
Durata: 98 minuti
Anno: 1976
Paese: USA