La regista di American Psycho torna con un biopic sulle Manson’s Girl. La recensione di Charlie Says
Ho aperto le porte della sala Pasolini a labbra salate ed un’unica parola scolpita nel cuore: catarsi.
Non vi aspettate che io scriva una recensione “canonica”. Charlie Says di Mary Harron è un Horror che, sua sponte, potrebbe non definirsi tale ma che deve essere apprezzato da un caparbio spettatore del genere.
La maggior parte di voi conosce Charles Manson ed i fatti di cronaca legati a questo, come ad altri film che sono stati prodotti dopo la morte del criminale. Ebbene, io non vi voglio parlare della brutalità con cui la Manson’s Family ha strappato la vita di Sharon Tate e del bimbo nel suo grembo perché non sono i fatti di cronaca ad essere i protagonisti indiscussi di quest’opera cinematografica. Charlie Says vuole semplicemente regalare allo spettatore il lento processo di riconquistata umanità di Sadie (Susan Atkins), Katie (Patricia Krenwinkel) e Lulu (Leslie Van Houten) più comunemente conosciute come Manson’s Girls.
La regista di American Psycho non si smentisce e architetta per Charlie Says una duplice armonia divergente. La Harron è riuscita a costruire eventi quasi contemporanei e colmi di tetra lucidità, ricostruendo, attraverso flashback idilliaci, le usanze e gli insoliti costumi della Manson’s Family. La Harron, in aggiunta, suddivide il film in due momenti ontologicamente diversi: a questo punto vi starete chiedendo se mi riferisco alla vita all’interno del ranch “PC” (prima dei crimini); assolutamente no, alludo alla involuzione del personaggio di Charles Manson, a seguito della delusione da musicista.
In un baleno l’esaltazione delle imperfezioni, l’abbattimento delle inibizioni, l’empatia, l’abbandono dei ricordi e di una lontana vita passata e sommersa dell’ego, che avevano fatto da cornice ad una semplice e campestre vita da hippie colma di spensieratezze ed amore, manifesta le occulte disarmonie della setta di Charles Manson. Charlie Says si trasforma in un autoritario ipse dixit, fondando le solide basi di una micro-società patriarcale in cui le regole imposte, in modo sempre più stringente, offuscano un’antica parvenza di libertà in un terrificante preludio di una reale prigionia. Questa deformazione narrativa viene sapientemente rappresentata attraverso alcune scene: ad una danza selvaggia e spassionata, vestita di soli buffi abiti e sorrisi si alterna la disturbante somministrazione di LSD agli adepti, che agli occhi di qualche credente potrebbe risultare colorata pure da note blasfeme. Allo stesso modo grazie ad un’impeccabile interpretazione di Matt Smith, Mary Harron plasma e confonde i due volti di Charles Manson: Charlie, mentore hippie amante dell’amore, maschera astutamente la vera indole di Manson il criminale.
Arrivata a questo punto della recensione, ho volutamente tralasciato la figura di Karlene Faith, cercando di ricalcare, od almeno spero, le geometrie della Harron, la quale non le attribuisce la parte della protagonista nonostante sia consapevole essere innegabile nesso causale tra le ragazze e la loro redenzione. Ed è proprio la catarsi di questo processo ad essere la spirale che trascina la platea dentro la triste realtà di Charlie Says: le Manson’s Girls, infatti grazie all’animo gentile di Karlene, riescono a rivivere razionalmente tutti gli eventi vissuti all’interno della Family assumendosi la responsabilità per i crimini commessi e rimanendo allibite dal potere magnetico di quel “Charlie dice” e di come si è ripercosso sulle loro giovani vite.
Il finale di questa disincantata fiaba è poi sorprendentemente eccezionale.
Comprendere l’immane sofferenza di Lulu nel momento in cui scopre di essere stata soggiogata ed ingannevolmente privata del potere di scelta, compatirne il rimpianto di non aver realmente vissuto una vita degna di essere definitale tale in nome di una dissimulata felicità ed aver sacrificato la propria vita per Charles Manson, mi ha sinceramente commossa.
Titolo: Charlie Says
Titolo originale: Charlie Says
Regia: Mary Harron
Attori: Hannah Murray, Matt Smith, Sosie Bacon
Genere: Biografico, drammatico
Durata: 110 minuti
Anno: 2019
Paese: USA