L’ipotetico sequel di Carrie – Lo Sguardo di Satana. La recensione di Fury di Brian De Palma
Fury (The Fury) è l’undicesimo film di Brian De Palma. Viene subito dopo Carrie, lo sguardo di Satana (1976) e si piazza agli sgoccioli di un decennio in cui il regista italo-americano si è diviso tra commedia e horror, con un clamoroso picco a metà dei due generi: Il fantasma del palcoscenico (1974).
The Fury, tratto dal romanzo di John Farris, autore della vertiginosa sceneggiatura, è sia per il tema della telecinesi che i risvolti gore, legato moltissimo all’antecedente trasposizione kinghiana, ma mischiato all’azione e gli intrighi identitari tipici della spy story, genere che De Palma tornerà a frequentare molti anni dopo.
The Fury presenta una realtà davvero poco chiara. Gli Stati Uniti non sono il bel paese democratico che sostengono di essere. Nell’ombra si incoraggia la sperimentazione di armi alternative da imporre alle altre potenze mondiali. La ricerca si spinge anche in luoghi all’apparenza improbabili come la Paragon, una scuola di parapsicologia gestita dal dottor McKeever (Charles During) e la dottoressa Lindstrom.
La domanda alla base del film potrebbe essere questa: che succederebbe se Carrie finisse nelle grinfie del governo, se fosse ammaestrata e controllata per fini politici, invece di perire in un vortice di fanatismo religioso e disagi adolescenziali? E se ce ne fossero altri di adolescenti dotati di poteri mentali? Verrebbe fuori un bel plotone di testoni capace di mandare in tilt un intero sistema difensivo. Le possibilità sono infinite e per arruolare questi ragazzi, c’è apposta una polizia speciale, una cosa ancora più losca e lugubre della C.I.A. capace di rapire, nascondere, eliminare qualsiasi individuo si metta in mezzo tra le brame del potere e i propri obiettivi di conquista.
The Fury è collegata non solo a Carrie, di cui può essere quasi un ideale sequel, anzi, avrebbe potuto esserlo ufficialmente, se al posto di Amy Irving fosse stata coinvolta Sissy Spacek. In un certo senso, la Irving, che nel precedente lungometraggio interpretava Sue Snell, compagna di classe di Carrie e divorata dai sensi di colpa per lei, ebbene, qui diventa, in una sorta di suggestivo e meta-cinematografico transfert redentivo la freak che nell’altra pellicola Sue/Amy cercava di salvare.
La Irving non è meno tormentata e in conflitto rispetto alla Carrie/Spacek, per quanto sia una ragazza sicura del proprio aspetto e in grado di gestire, almeno in apparenza, scelte esistenziali e un rapporto con la madre non semplice ma meno conflittuale di quanto fosse capace di rendere una come la povera Margie White.
Insieme alla Irving, che in questo film interpreta Gillian, c’è un altro adolescente dotato di grandi poteri di nome Robin (Andrew Stevens). I due giovani sono in contatto telepatico e legati da un misterioso retaggio, ipoteticamente genetico. Al punto da ipotizzare The Fury come il più esemplare caso di plagio inconscio. Inutile girarci intorno, troppe cose coincidono tra il film di De Palma e Scanners di David Cronenberg, compresa la strana relazione famigliare tra i due protagonisti.
Il regista canadese non ha mai affrontato la questione, sebbene abbia spesso riconosciuto le affinità tra certi suoi capolavori e altri film. Di Fury però non ha mai parlato molto. Forse perché è superfluo ammetterne le coincidenze riguardo Scanners e per certi versi anche La zona morta.
Inoltre, i momenti di maggior violenza del film di De Palma non sono da meno rispetto a quelli di Scanners. Lì a occuparsi degli effetti speciali è stato Gary Zeller, con la supervisione di Dick Smith, mentre qui a far esplodere i corpi e fluttuare la gente ci pensa Rick Baker, che solo tre anni dopo vince l’Oscar con Un lupo mannaro americano a Londra (1981).
Per inciso, in The Fury troviamo una gustosa carrellata di caratteristi e anche, non accreditati, alcuni futuri divi nel proprio campo. C’è Rob Bottin come aiuto agli effetti speciali di Baker e Daryl Hannah nel ruolo di Pam, una compagna di classe di Gillian e Dannis Franz della serie anni 90 NYPD in quello appunto di un giovane poliziotto. C’è pure Jim Belushi in una particina talmente piccola che non si riesce quasi a notarlo. Vi offro un indizio: tenete gli occhi aperti nella scena della spiaggia, dove Gillian e la sua amica LaRue (Melody Thomas Scott) mostrano il di dietro in una carrellata indimenticabile, mentre William Finley da fantasma del Paradiso le pedina nelle vesti del viscido Raymond.
Kirk Douglas, un ex agente segreto che vuol salvare il figlio Robin dalle grinfie dell’organizzazione occulta, e che nonostante i suoi 62 anni, in Fury è alle prese con una serie di inseguimenti in mutande che gli fanno davvero onore, e un crepuscolare John Cassavetes, nella parte del cattivissimo Childress, sono un po’ la luce e il buio dello stesso cielo.
Loro due rappresentano le forze in mezzo a cui si trovano i giovani Gillian e Robin, novelli Eva e Adamo rinchiusi in un paradiso terrestre di cure e farmaci sospetti. I due sono spaventati e incerti sulla propria natura superomistica. Vorrebbero solo fuggire lontano da un mondo dove il potere vuole fagocitarli e defecarli sui nemici come nuovo tipo di bombe.
Alla colonna sonora non ci sono né Bernard Hermann, morto tre anni prima dell’inizio delle riprese, né Pino Donaggio, con cui De Palma riprenderà il sodalizio già nel film successivo, Home Movies (1979). Per l’unica volta Brian si avvale quindi dello spielberghiano John Williams, artefice di un lavoro drammatico comunque all’altezza.
Il montaggio è del solito Paul Hirsch, collaboratore del regista dai tempi indipendentisti di Hi, mom! (1970), mentre alla fotografia stavolta c’è Richard H. Klein, famoso per Star Trek, Howard e il destino del mondo, il remake di King Kong.
La cuoca paffuta e iperattiva della scuola Paragon è Alice Nunn, meglio nota come camionista fantasma nel burtoniano PeeWee’s Big Adventure.
Titolo: Fury
Titolo originale: The Fury
Regia: Brian De Palma
Attori: Kirk Douglas, John Cassavetes, Carrie Snodgress
Genere: Horror, thriller, sci-fi
Durata: 118 minuti
Anno: 1978
Paese: USA