Quasi tutti, se non proprio tutti i film giapponesi ruotano intorno a questi Yūrei, i quali sono anime che per via di una qualche emozione risultano ancora legate al mondo dei vivi; ovviamente trattandosi di spiriti dell’oltretomba non potevano che essere mossi da vendetta… altrimenti che horror sarebbe? Caratteristiche distintive come si evince nella bambina di the Ring sono: abiti bianchi e lunghi capelli neri che in parte coprono il volto.
Per quanto mi riguarda, da sempre ne sono affascinato, persino le “piccole anime” citate nel mio romanzo “Verità dal buio” ricordano gli Yūrei.
Per passione ed anche per il mio lavoro da scrittore, negli anni ho avuto il tempo ed modo di amare, ed informarmi riguardo le diverse sfaccettature di questo ampio genere.
Per completare l’articolo ho pensato di citare alcune pellicole che con le giuste “precauzioni” andrebbero viste in versione originale, le quali riflettono ed enfatizzano a pieno il Japan Horror.
Dark water – Honogurai mizu no soko kara del ( 2002) di Nakata Hideo, regista di Ringu, pellicola incentrata sulle vicende di una giovane donna divorziata con alle spalle qualche problema psichico, che cerca un abitazione per sé e la propria figlia di sei anni. Decide di prendere una casa che la trascinerà nella misteriosa e paurosa realtà di una bambina morta due anni prima tra le mura dello stesso condominio.
The Eye – Gin gwai (2002) nel quale la protagonista è una violinista di vent’anni cieca dall’età di due anni, che riacquista la vista grazie ad un intervento di un misterioso donatore di cornee. Tuttavia quando la giovane si troverà di fronte a visioni inquietanti e misteriose che renderanno la sua vita un vero e proprio incubo.
The Grudge (Ju-on) (2002) ruota intorno al tema della maledizione (Ju-on, letteralmente significa rancore) di una persona morta in seguito a una collera furiosa che si accumula e poi si scatena nel luogo in cui è vissuta. Le apparizioni degli spettri sono ben riuscite in quanto colgono frequentemente di sorpresa lasciando un senso di inquietudine anche e soprattutto dopo il bellissimo finale.
Come già accennato, molte pellicole giapponesi sono state riprodotte in forma di remake statunitense, ma non so voi, io ritengo che il fascino intriso in queste pellicole tende a svanire quando Hollywood ci mette le grinfie come nel caso di The Grudge del 2004 con Sarah Michelle Gellar che risulta un banale e forzato mix di culture anglo-nipponiche.
Ormai il fenomeno del Japan Horror è stato ampiamente analizzato nonché sviscerato in ogni suo aspetto. Infatti il pubblico occidentale ha imparato a conoscere ed amare le caratteristiche tecniche e le derivazioni sociali in essere nell’horror nipponico.
In effetti la cinematografia giapponese si basa tutta sui fantasmi e lo fa con il suo solito stile raffinato in cui, alla fine, anche il male non è poi così malvagio come si è soliti pensare. A tutto c’è una spiegazione e le motivazioni per le quali certe cose accadono, alle volte sono semplici e umane.
La struttura dei film solitamente è lineare, tenebrosa e cupa con pochi personaggi, e come tipico della cultura giapponese, anche nelle pellicole c’è un attenzione maniacale per i dettagli come il suono incessante e battente della pioggia, il vento, fino allo scrosciare dell’acqua dai rubinetti.
C’è molto da imparare da questo tipo di pellicole che è come se volessero far trapelare dall’inizio l’idea che vince il male, ma, in realtà dopo una visione attenta, ci rendiamo conto che invece non è il male che vince, ma nemmeno il bene!
Gli spiriti che regnano nelle storie giapponesi non si sconfiggono chiamando gli acchiappafantasmi, ma fanno parte della vita e del quotidiano e con loro bisogna convivere.
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