La genesi della Hammer Films, casa di produzione cinematografica britannica

Tra le poche, se non l’unica, case di Produzione cinematografica il cui nome è sinonimo di un genere, nello specifico l’Horror, la Britannica Hammer Films, a partire dal 1955 fino al 1976, ci ha regalato alcuni dei più suggestivi titoli del terrore gotico Inglese. La rinascita dello Studio, dopo un periodo di inattività e crisi finanziaria durata quasi venticinque anni, ci ha dato lo spunto per ripercorrere, insieme con i lettori di NAQB, la gloriosa storia della Hammer Films e delle sue star.

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Prima degli anni ’50 la cinematografia anglosassone aveva prodotto pochi film Horror, a differenza degli Stati Uniti che, con la Universal, stavano invece portando sul grande schermo alcuni dei mostri più famosi della mitologia orrorifica, ed anche un attore come Boris Karloff aveva dovuto attraversare l’Atlantico affinché venisse riconosciuto il suo talento, il fatto che il “British Board of Film Censors” (la censura Inglese) tra il 1942 ed il 1945 vietò l’acquisto e la distribuzione delle pellicole classificate “H” (come venivano catalogati gli Horror, mentre in seguito sarebbero stati marchiati con una “X” i porno ed i film violenti), non invogliò certamente l’industria locale a mettere in cantiere titoli di questo genere.

Così come la Warner Bros e la Universal, fondate rispettivamente dalle dinastie dei Warner e dei Laemmle, anche la nascita della Hammer Films è stato un affare di famiglia o, più precisamente, di due casate: i Carreras e gli Hinds. Enrique Carreras, un emigrato spagnolo, giunto in Gran Bretagna all’inizio del secolo scorso con la moglie Dolores ed il fratello Alphonse, aveva tentato con alterne fortune di fare affari sull’isola (uno dei suoi business con una fabbrica di dentifricio lo porta anche alla bancarotta!) fino a quando nel 1913, con il fratello, acquista ad Hammersmith, un quartiere di Londra, un teatro che riconverte in sala cinematografica con due differenti sale di proiezione. Negli anni seguenti il rinnovato interesse per la settima arte portò i due a gestire una vera e propria catena di teatri nella capitale inglese, nel frattempo l’imprenditore William Hinds, proveniente da una famiglia di famosi gioiellieri, alternava la sua carriera negli affari con la sua passione per la recitazione (il figlio Anthony lo descrive come “un manager di successo ed un commediante fallito”).

Hammer Film Production - Logo
Hammer Films Production – Logo

Con un amico da vita al duo comico “Hammer and Smith”, che prendeva il nome dal fatto che entrambi vivevano ad Hammersmith e, nel novembre del 1934, fonda la “Hammer Production”. Dal casuale incontro tra Hinds e Carreras, che scoprono di avere in comune lo stesso interesse per il cinema, nasce la “Exclusive Films”, una società di distribuzione di titoli di serie B acquistati a basso prezzo dal mercato nazionale, ma la crisi che colpì l’industria cinematografica Britannica sul finire degli anni trenta, insieme con il profilarsi all’orizzonte della seconda guerra mondiale, sono fatali alla “Hammer”, che viene messa in liquidazione, mentre la “Exclusive” riesce a sopravvivere alla guerra garantendosi la distribuzione di alcune pellicole di successo prodotte da Alexander Korda e di Michael Powell.

Nel 1946 James Carreras, figlio di Enrique, ed Anthony Hinds, figlio di William, dopo avere servito la patria nel conflitto (Carreras venne congedato con il grado di Tenente Colonnello), fanno ritorno alla Società di distribuzione, di cui avevano già fatto parte prima dello scoppio della guerra e, con i rispettivi genitori, resuscitano la “Hammer Films Production”. Grazie ai buoni rapporti con la BBC, lo Studio riesce ad acquistare i diritti per la trasposizione filmica di un “serial” radiofonico con protagonista Dick Barton, un agente segreto alle prese con minacce terroristiche da parte di agenti stranieri. Dick Barton, Special Agent è un immediato successo e da origine a due sequel, mentre il quarto titolo della  serie viene cancellato dopo la morte in un incidente stradale del suo interprete, l’attore Don Stannard. Ma Hinds e soci, visti i profitti che ne derivarono, continuano con la stessa formula, ottenendo i diritti per altre trasmissioni radio della BBC, inoltre, per ottimizzare i costi, Anthony Hinds propone di girare i film in case private, invece di affittare veri e propri teatri di posa.

Tra questi studios improvvisati uno in particolare, a Down Place, Bray, vicino a Windsor, diviene il set principale della “Hammer Films” per oltre sedici anni. La tenuta, composta da diverse costruzioni, aveva anche una casa di campagna molto elegante, la cui facciata, simile a quella di un castello, sarebbe poi stata utilizzata più volte come parte del maniero di Dracula ed in La maschera di Frankenstein; dopo averli ribattezzati “Bray Studios”, Hinds e Carreras trasferiscono li parte dei loro uffici ed utilizzano la villa anche per conferenze e cene di gala. La “Hammer” fu la prima Casa di produzione Inglese a stipulare accordi di co-produzione con gli studios americani, in particolare la società realizzava i titoli che venivano proiettati dopo le pellicole più importanti in “Double Bill” (doppio spettacolo) nei cinema di oltreoceano.

È in questo periodo che il regista Terence Fisher, un’altra delle figure chiave del successo della compagnia, arriva alla Hammer dove dirige The last page, un modesto “noir” con George Brent e Diana Dors. Ma la pellicola che, inaspettatamente, rivoluzionò le sorti dello studio e cambiò la storia del cinema horror, arriva solo nel 1954, quando la Hammer, in crisi di liquidità, mette in cantiere un altro film tratto ancora una volta da un fortunato programma radiofonico della BBC, già adattato per la televisione in una miniserie di sei episodi: L’astronave atomica del Dottor Quatermass (The Quatermass Xperiment). Ideato dallo scrittore Nigel Kneale, che trovò il nome del personaggio sull’elenco telefonico, il Professor Quatermass è, in questa sua prima avventura, il responsabile del programma spaziale Britannico che vede fallire la prima missione spaziale con equipaggio umano, l’unico sopravvissuto infatti, dopo essere tornato sulla Terra, inizia a subire una orribile mutazione che lo trasformerà in una gigantesca creatura gelatinosa, uccisa nel finale con una scarica elettrica, all’interno dell’abbazia di Westminster (in realtà le scene nella celebre Cattedrale furono girate nei “Bray Studios”). Efficace mix di horror e fantascienza, L’astronave atomica del Dottor Quatermass, diretto da Val Guest, a cui Anthony Hinds diede una copia del soggetto della BBC prima che quest’ultimo partisse per due settimane di vacanza a Tangeri, ebbe la sua premiere a Londra il 26 agosto 1955 e, grazie anche alla commovente interpretazione di Richard Wordsworth nei panni dell’astronauta Victor Caroon, versione moderna del mostro di Frankenstein, ed agli elementi orrorifici, cambiò definitivamente i piani produttivi della Hammer che si affrettò a produrre, l’anno successivo, X contro il centro atomico (X- the unknown), sceneggiato da Jimmy Sangster ed affidato alla regia di Leslie Norman.

L’astronave atomica del Dottor Quatermass (1955)
L’astronave atomica del Dottor Quatermass (1955)

Nuova storia di “science fiction” con una forte connotazione horror, il film ha per protagonista una misteriosa melma fuoriuscita dal terreno nella campagna Scozzese dopo un terremoto, che uccide tutti coloro con cui viene in contatto. Inizialmente lo scienziato che studia lo strano fenomeno doveva essere ancora il Professor Bernard Quatermass, ma al rifiuto di Kneale di permettere l’uso del personaggio da lui creato, venne cambiato nel Dottor Adam Royston; anche il regista inizialmente scelto dalla Hammer non era Norman, ma il ben più noto Joseph Losey che, sotto lo pseudonimo di Joe Walton (in realtà Walton era il secondo nome dell’autore di Hallucination) supervisionò al casting ed alla costruzione del set, ammalandosi di polmonite mentre  era  alla ricerca delle  “location” dove girare il film e venendo quindi sostituito all’ultimo  momento  da Leslie Norman. Ma nell’avvicendarsi dei due registi giocò un ruolo importante il fatto che Losey, auto esiliatosi nel Regno Unito perché sospettato di attività comuniste dalla tristemente nota commissione McCarthy, avrebbe potuto pregiudicare la distribuzione  della pellicola negli Stati Uniti.

Quasi in contemporanea con la produzione di X contro il centro atomico la Hammer inizia ad elaborare, insieme con lo stesso Nigel Kneale, la sceneggiatura della seconda avventura cinematografica di Quatermass, tratta ancora una volta da uno sceneggiato televisivo della BBC. I Vampiri dello spazio (Quatermass 2), distribuito il 24 maggio del 1957, sempre con l’attore Irlandese Brian Donlevy nel ruolo del protagonista (una scelta sempre osteggiata da Kneale, anche per i noti problemi di alcolismo di Donlevy),  divenne un immediato successo, questa volta Quatermass è alle prese con una entità aliena in grado di impossessarsi della volontà degli esseri umani che riesce a ridurre al suo volere anche parte del governo Britannico e tenta di trasformare l’atmosfera terrestre (l’ossigeno gli è fatale) per invadere il pianeta. Le scene terrificanti sono ulteriormente sottolineate da Val Guest, di nuovo dietro alla macchina da presa, al punto che la rivista “Picture Show” scrive in una recensione del 22 giugno: “Il film è certificato “X” (vietato ai minori) per il suo contenuto horror, e sicuramente piacerà agli amanti del thriller dallo stomaco forte!”. Ritenendo che la Hammer avesse ormai sfruttato a fondo l’idea di creature aliene melmose con mire di conquista della Terra, Jack Goodlatte, direttore della catena di sale della ABC, suggerisce a James Carreras ed al figlio Michael di cimentarsi nel remake di Frankenstein, in considerazione anche del fatto che i diritti sul racconto di Mary Shelley erano ormai di pubblico  dominio. Lo  Studio, entusiasta, commissiona agli americani Milton Subotsky e Max J.Rosenberg, che qualche  anno dopo avrebbero fondato la concorrente “Amicus Productions”, la scrittura della sceneggiatura di quello che doveva essere un horror “low budget” in bianco e nero. È a questo punto che la Universal minaccia di portare in tribunale la Hammer qualora il remake avesse copiato anche solo parte del loro film con Boris Karloff, incluso il make-up del mostro e la storia, facendo correre ai ripari Anthony Hinds che chiama ancora Jimmy Sangster a riscrivere la sceneggiatura in modo che non contenga alcun riferimento, verbale o visuale, all’opera di James Whale, l’attenzione viene spostata dalla creatura al Barone Victor Frankenstein ed al suo delirio scientifico di sostituirsi a Dio, il budget viene portato a 70.000 sterline e, ambiziosamente, si decide di realizzare il film a colori. I ruoli principali del Barone e del Mostro furono affidati rispettivamente a Peter Cushing, un attore emergente che aveva lavorato molto in televisione e a uno sconosciuto Christopher Lee, scelto solo per la sua statura, per le sue capacità di mimo (per tutto il film doveva recitare sotto un pesante trucco, potendo trasmettere la tragicità del personaggio solo con le espressioni del viso) e perché, per un caso, aveva lo stesso agente di Cushing.

La maschera di Frankenstein (The curse of Frankenstein) venne proiettato per la prima volta al curioso pubblico inglese il 2 maggio 1957, al Warner Theatre di Leicester Square, con i fortunati spettatori che poterono ammirare, nell’atrio del cinema, una ricostruzione del laboratorio del celebre Barone. Primo film horror inglese a colori, il film diretto da Terence Fisher, duramente criticato dalla stampa (“Solo per sadici!” scrisse il “Daily Telegraph”, mentre “The Observer” gli fece eco giudicandolo come “tra i sei film più repellenti mai visti!”), ottenne inaspettati risultati al Box Office che lo portarono ad essere programmato contemporaneamente in due sale del West End Londinese  ed a incassare  l’eccezionale cifra di due milioni di sterline in tutto il mondo! L’impatto  che La maschera di Frankenstein ebbe su quello che era stato fino ad allora il cinema horror fu incredibile, l’evocativa e vivida fotografia di Jack Asher, la ricercatezza dei costumi ed il mostrare per la prima volta, con terrificanti primi piani, cadaveri, cervelli, bulbi oculari e teste mozzate, particolari macabri fino ad allora adombrati alla vista dello spettatore, cambiarono per sempre il modo di rappresentare l’orrore al cinema, diventando quello che verrà poi definito come l’Hammer Horror, un vero e proprio marchio di fabbrica.

Hinds e Carreras portarono ancora sullo schermo il Barone Frankenstein in ben cinque sequel, sempre interpretati dal bravo Peter Cushing: La vendetta di Frankenstein (The revenge of Frankenstein, 1958), La rivolta di Frankenstein (The evil of Frankenstein, 1964), La maledizione dei Frankenstein (Frankenstein created Woman, 1967), Distruggete Frankenstein (Frankenstein must be destroyed, 1969) e Frankenstein e il mostro dell’Inferno (Frankenstein and the monster from Hell, 1974, unico titolo a venire distribuito in Italia solo in Home Video), tutti diretti da Fisher, con l’eccezione di La rivolta di Frankenstein, affidato a Freddie Francis in quanto Fisher era impegnato su un altro set. Pur se con qualche buco di sceneggiatura la saga di Frankenstein è una delle più originali ed avvincenti realizzate dalla Hammer, con il melanconico Frankenstein e il mostro dell’Inferno che segna, tristemente, anche la fine di un epoca ed il declino dello Studio Britannico.

Peter Cushing in Distruggete Frankenstein - Terence Fisher (1969)
Peter Cushing in Distruggete Frankenstein – Terence Fisher (1969)

Al primo film sulla leggenda di Frankenstein, seguì il sottovalutato Il mostruoso Uomo delle nevi (The abominable Snowman, 1957), sempre con la regia di Val Guest e l’interpretazione di Peter Cushing. Girato in bianco e nero e sceneggiato da Nigel Kneale, il film, dalle atmosfere Lovecraftiane, spinge meno sul pedale  dell’horror e più su quello dell’avventura fantastica, con una magistrale performance di Cushing e Forrest Tucker. Oltre che nei Bray Studios, dove venne ricostruito un intero monastero Tibetano (in seguito riutilizzato nella serie di pellicole su Fu Manchu realizzate negli anni sessanta con Christopher Lee), Guest con una piccola troupe girò anche alcune sequenze nei Pirenei Francesi e nei teatri di posa di Pinewood, rendendo estremamente realista l’ambientazione sulle pendici dell’Himalaya.

La Universal, che aveva precedentemente osteggiato la Hammer, si rese conto di potere ancora sfruttare un genere, l’horror, considerato ormai defunto da molti anni e cedette alla studio inglese, in cambio dell’opzione per la distribuzione negli Stati Uniti, i diritti sui remake, prima di Dracula e poi di tutti i suoi Mostri, consentendo così a Carreras ed Hinds di resuscitare anche la Mummia, il Fantasma dell’Opera e l’Uomo Lupo. Nonostante gli eccezionali risultati al Box Office la Hammer rimase sempre una società a conduzione famigliare, che lavorava ormai con un collaudato e versatile gruppo di tecnici ed attori capaci di risolvere ogni tipo di situazione e di creare pellicole che sarebbero poi divenute dei veri e propri “Cult movies” del cinema della paura. Dracula il Vampiro (Dracula/Horror of Dracula, 1958) venne quindi consegnato nelle abili mani di Terence Fisher, mentre Cushing e Lee diedero vita a Van Helsing ed al Principe delle Tenebre. La sceneggiatura, scritta nuovamente da Jimmy Sangster, ambienta l’intera vicenda nel centro Europa e introduce un Dracula completamente rinnovato, capelli nero corvino, occhi iniettati di sangue, una forza smisurata e, per la prima volta, canini aguzzi, il Conte di Christopher Lee, con il suo metro e novantasei di altezza, ha un aspetto demoniaco e una conturbante carica erotica, tutte caratteristiche assenti nella ingessata  interpretazione di  Bela Lugosi. Le riprese durarono 25 giorni e l’aspetto di Dracula venne tenuto segreto fino all’uscita del film, distribuito prima in America che in Gran Bretagna, al punto che ai giornalisti ammessi sul set venne permesso di fotografare Lee solo di spalle! Nonostante avesse solo 13 righe di dialogo, l’espressività e l’intensa interpretazione di Christopher Lee danno al suo Dracula una incredibile carica erotica che fa breccia sulle frustrazioni sessuali delle sue vittime femminili. Grazie al technicolor gli spettatori possono finalmente gustarsi i rivoli di sangue sul collo delle vittime del vampiro o gli squarci dei paletti di frassino inferti da Van Helsing al petto dei non morti per liberarli dal morbo del vampirismo. Gli incassi negli Stati Uniti di Dracula il Vampiro salvarono la Universal dalla bancarotta che sollecitò quindi la realizzazione di un sequel, ma il rifiuto di Lee a vestire nuovamente i panni del Conte, per paura di rimanere imprigionato nel personaggio, costringe la Hammer a fare riscrivere il soggetto di Jimmy Sangster da Peter Bryan e Edward Percy, che sostituiscono Dracula con il più giovane Barone Meinster, interpretato da David Peel. Sempre con Terence Fisher dietro alla macchina da presa e Cushing nei panni del cacciatore di Vampiri, Le spose di Dracula (The brides of Dracula) viene distribuito il 7 luglio 1960 mantenendo sempre ottimi risultati al botteghino, al punto che la Universal commissiona un terzo film. Il mistero del castello (Kiss of the Vampire, 1964) vede la luce nel 1964, ma senza ne Cushing ne Lee e con la regia di Don Sharp. Pur se inferiore alle pellicole precedenti, offre alcuni spunti interessanti, come la rappresentazione del vampirismo inteso come disagio sociale che colpisce coloro che cadono nella corruzione morale e l’introduzione della magia nera. Gli spettatori dovranno aspettare ancora un anno affinché un riluttante Lee accetti le lusinghe della Hammer e torni ad indossare il mantello  del celebre Vampiro in  Dracula principe delle tenebre (Dracula Prince of darkness, 1966), sostanzialmente un remake di Dracula il Vampiro diretto sempre da Fisher ma senza Cushing, in cui l’attore non ha nessuna battuta e fa la sua comparsa solo dopo oltre la metà del film, ma carica la sua interpretazione di una ferocia e malvagità tale da farne uno dei migliori Dracula mai visti al cinema. Venduto in tutto il mondo, il film di Fisher incassò nelle sole Filippine l’incredibile somma di 24.584 dollari, aprendo la strada a Le amanti di Dracula (Dracula has risen from the grave, 1968), sempre con Lee ma diretto da Freddie Francis, che aveva fatto una lunga gavetta come direttore della fotografia, a causa di un incidente stradale che costrinse Fisher, con una gamba rotta, a cedergli la regia. Seguirono poi Una messa per Dracula (Taste the blood of Dracula, Peter Sasdy 1970), dove l’attore di origini Italiane venne convinto a fatica, dopo una lunga trattativa, a riprendere il personaggio che lo aveva reso famoso; Il marchio di Dracula (Scars of Dracula, Roy Ward Baker 1970), 1972: Dracula colpisce ancora (Dracula A.D. 1972, Alan Gibson 1972), che vede il ritorno di Peter Cushing con croci e paletti di frassino a dare la caccia all’atavico nemico e I satanici riti di Dracula (The satanic rites of Dracula, Alan Gibson 1974), capitolo finale della serie, che non venne distribuito in America fino al 1978, poi Lee, contrariato dalle sceneggiature che ambientavano le sue storie ai giorni nostri, abbandona la Hammer Films, ormai in declino anche finanziario, e viene sostituito da John Forbes Robertson in La leggenda dei sette Vampiri d’oro (The legend of the 7 golden Vampires, Roy Ward Baker 1974), curiosa commistione tra Horror ed arti marziali, co-prodotta con la “Shaw Brothers” di Hong Kong, in cui Cushing interpreta svogliatamente per l’ultima volta il Professor Van Helsing, qui in trasferta in un villaggio Cinese per proteggerlo dagli attacchi di  una banda di Vampiri mascherati. La lavorazione del film viene compromessa dalle frequenti discussioni tra Michael Carreras ed i co-produttori cinesi, ma il film rimane comunque una divertente ed originale variazione del mito di Dracula.

All’inizio degli anni settanta la Hammer tenta di ridare nuova linfa alle sue storie di Vampiri, insaporendo l’usuale dose di sangue con audaci iniezioni di sesso e dando vita a quella che sarebbe stata poi definita “la trilogia dei Karnstein” (dal nome della dinastia di cui vengono narrate le vicende). Adattando al modello Hammer “Carmilla”, il celebre racconto di Joseph Sheridan Le Fanu, lo sceneggiatore Tudor Gates scrive il soggetto di Vampiri Amanti (The Vampire lovers, 1970), che lancia la carriera di una giovane Ingrid Pitt nel ruolo della sensuale vampira Carmilla, dedita a pratiche saffiche. Roy Ward Baker dirige il film (in cui, per favorire la distribuzione statunitense, compare anche Peter Cushing) in sei settimane, nei teatri di posa degli Elstree Studios. Alla sua uscita in sala le reazioni del pubblico sono entusiaste ed il sequel: Mircalla, l’amante immortale (Lust for a Vampire, 1971) è già in lavorazione, ma la sfortuna sembra abbattersi su questa produzione, Terence Fisher infatti, che doveva dirigere il film, si rompe nuovamente una gamba tre giorni prima dell’inizio delle riprese e deve abdicare in favore di Jimmy Sangster, mentre Cushing deve declinare l’offerta del ruolo dell’insegnante Giles Barton per accudire la moglie Helen, gravemente malata di enfisema polmonare (morirà il 14 gennaio 1971, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore dell’attore).

Le figlie di Dracula (1971) - John Hough
Le figlie di Dracula (1971) – John Hough

La pellicola non ottiene il successo sperato e, pur se decisamente migliore, anche il successivo Le figlie di Dracula (Twins of Evil, John Hough 1971), che conclude la saga di Karnstein, racimola incassi deludenti. L’uscita di horror d’autore come Rosemary’s Baby e di titoli con un marcato  sottotesto  politico di denuncia, come La notte dei Morti Viventi di Romero, eclissarono progressivamente la Hammer dai favori degli spettatori, portandola alla bancarotta ed alle dimissioni di Michael Carreras il 30 aprile 1979. Roy Skeggs, che era entrato a far parte dello Studio nel 1963, in qualità di “Production Accountant”, subentra a Carreras e, grazie alla produzione delle due serie TV Hammer House of Horror (1980) e Hammer House of Mistery and Suspense (1984), riesce a pagare i debiti ed a mantenere i diritti su tutta la filmografia dello Studio. Negli anni successivi, dopo aver disperatamente tentato di trovare dei finanziatori per finalizzare nuovi progetti, Skeggs cede la Società ad un consorzio di imprenditori privati che, nel 2007, passa la mano in favore dell’olandese “Cyrte Investments” di John de Mol jr. (tra i proprietari della società “Endemol” e creatore dei reality: “Grande Fratello” e “The Voice”), la quale riesce a realizzare Beyond the Rave (2008), film con protagonisti vampiri moderni, trasmesso direttamente su MySpace in 20 “webisodes”, a cui seguono Blood Story (Let me in, 2010, remake della bellissima pellicola Svedese Lasciami entrare), The Resident e Wake Wood (entrambi del 2011). Nel 2012 James Watkins dirige l’ottimo The Woman in black, secondo adattamento dell’omonimo racconto di Susan Hill, a mio parere la pellicola del nuovo corso della Hammer che più cattura le atmosfere gotiche che hanno reso famoso lo studio inglese. Due anni dopo viene distribuito il mediocre e soporifero Le origini del Male, di John Pogue, seguito da L’Angelo della Morte (2014, Tom Harper), sequel della pellicola di Watkins arrivato in Italia direttamente in home video grazie a “Videa” e l’inquietante The Lodge (2019), con la rediviva Alicia Silverstone, seconda regia degli Austriaci Severin Fiala e Veronika Franz (nella vita reale sono nipote e zia). La Hammer, come i morti viventi del suo La lunga notte dell’orrore (The plague of the Zombies, 1966) è risorta dalla tomba!     

                                                               Roberto E. D’Onofrio.

Box: “Gli altri Mostri della Hammer”:

La Hammer si è cimentata anche con altri celebri mostri della mitologia Horror, tra cui meritano almeno una citazione:
La Mummia – La Mummia (Terence Fisher, 1959);
Il mistero della Mummia (Michael Carreras, 1964);
Il sudario della Mummia (John Gilling, 1967);
Exorcismus – Cleo la dea dell’amore (Seth Holt, 1971).
Il Dr. Jekyll e Mr. Hyde – Il mostro di Londra (Terence Fisher, 1960);
Barbara, il mostro di Londra (Roy Ward Baker, 1971).
L’Uomo Lupo – L’Implacabile condanna (Terence Fisher, 1961).
Il fantasma dell’Opera – Il fantasma dell’Opera (Terence Fisher, 1962).
La Gorgone – Lo sguardo che uccide (Terence Fisher, 1964).
Gli Zombies – La lunga notte dell’orrore (John Gilling, 1966).
I Dinosauri – Un milione di anni fa (Don Chaffey, 1966);
Quando i Dinosauri si mordevano la coda (Val Guest, 1970).
Il Diavolo – The Devil rides out (Terence Fisher, 1968);
Una figlia per il Diavolo (Peter Sykes, 1976).
La Contessa Elizabeth Bathory – La Morte va a braccetto con le vergini (Peter Sasdy, 1971).
Jack lo Squartatore – Gli artigli dello Squartatore (Peter Sasdy, 1971).

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Roberto E. D'Onofrio
Studioso ed appassionato di Cinema Fantastico, è nella redazione della rivista Francese “L'Ecran Fantastique” e corrispondente Italiano di “Rue Morgue”. E’ stato vice Direttore di “Asylum Magazine” e dell'Asylum Fantastic Fest ed ha scritto per: “Fangoria”, “Gorezone”, “Horror Mania”, “Nocturno”, “SciFi World”, “Femme Fatales” e “Cinefantastique”. Amo l'Horror, la Fantascienza, il Fantasy, i fumetti, la musica Rock ed i gatti. Sono un collezionista compulsivo di manifesti e memorabilia cinematografica legata a questi generi, con oltre 8000 poster non ho più posto neanche per il letto!