Il grandissimo thriller del regista di Parasite. La recensione di Memorie di un assassino
Sulla scia del grande successo di Parasite, torna sul mercato home video Memorie di un assassino, film diretto da Bong Joon-ho nel 2003 (e già uscito in Italia nel 2007 senza passare dai cinema). Ispirato alla storia del primo serial killer registrato in Corea del sud tra il 1987 e il 1991, questo noir parte come un rigoroso dramma investigativo e finisce per rivelarsi una satira irresistibile del regime coreano di quegli anni.
L’assassino stupra e uccide donne molto belle che indossano sempre un indumento rosso e girano per le campagne durante le notti di pioggia. Nonostante la violenza esagerata delle aggressioni, il predatore non lascia mai segni o indizi che possano comprometterlo. La polizia è del tutto impreparata a un’indagine in stile FBI e nella provincia coreana, nel mezzo degli anni 80, persino il concetto di assassino seriale è ancora poco chiaro.
L’atipicità di Memorie di un assassino è suggerita già dalla locandina raffigurante una foto di gruppo della squadra di poliziotti, tutti sorridenti e rilassati, come se fosse scattata alla fine di un’indagine magistrale che è invece il contrario di ciò che si vede nel film. Inoltre il titolo suggerisce un resoconto in prima persona del serial killer ma è tutto dal punto di vista di chi indaga e non dell’assassino.
La violenza è solo suggerita dai cadaveri ritrovati, le loro posture contorte e i corpi in suppurazione, ma lo scorcio desolato delle campagne coreane, in cui bambini vagano soli e senza meta tra le gigantesce fabbriche e i tetri spaventapasseri, è il tappeto ideale per la melodia triste e oscura dell’anima carnivora che fece quattordici vittime innocenti, in quelle lande a Gyeonggi.
Memorie di un assassino non è un horror vero e proprio e nemmeno di un thriller aggressivo e decadente. La crudezza non si riduce a un plumbeo calvario fincheriano dove lo spazio è un fondale avulso da ogni implicazione storica. La corea del sud di quel tempo è segnata dalle cruente proteste degli studenti universitari contro le autorità governative. Bong John Ho le mostra qui e là, tenendo il tutto quasi sempre sullo sfondo e spingendo l’attenzione del pubblico verso l’indagine e il serial killer. Alla lunga però la caccia all’uomo è lo spunto ideale per mettere a nudo un sistema politico malato e destinato al collasso.
L’assassino diviene un metaforico spettro che scivola imprendibile tra le dita di gendarmi violenti e spietati, funzionari distratti e defaticati da ben altre questioni, mentre i detective volenterosi ma incapaci arrancano. Per molti versi la vicenda ricorda quella di Girolimoni (portata al cinema da Bolognini nel ‘72). Anche lì una dittatura, quella fascista, favorì involontariamente le imprese di un maniaco pedofilo ferocissimo, nel tentativo di sbrigare al più presto una situazione incresciosa e di pessima pubblicità per il regime.
L’apparente dualismo tra il detective Park (Song Kang-ho) pasticcione e arrogante provinciale, e il più modernista detective Seo (Kim Sang-kyung) propugnatore di sistemi analitici e psicologici, serve a scatenare momenti paradossali e ricchi di ironia ma che conducono allo stesso groviglio inestricabile. I poliziotti devono fare i conti con l’istinto e le prove. Talvolta entrambi gli elementi combaciano, molto più spesso no. La figura di questo assassino seriale ha segnato la memoria storica del popolo sud-coreano. Bong Joon-ho riesce a darcene un’idea in questo capolavoro.
Titolo: Memorie di un assassino
Titolo originale: Salinui chueok
Regia: Bong Joon Ho
Attori: Kang-ho Song, Sang-kyung Kim, Roe-ha Kim
Genere: Thriller
Durata: 131 minuti
Anno: 2003
Paese: Corea del Sud