La nuova frontiera dell’horror esplora l’animo e le tradizioni dell’uomo. La recensione di Midsommar.
Una nuova generazione di registi horror si sta accomodando di diritto sul maestoso trono dei “Master of Horror”. Uno di questi eredi è senza ombra di dubbio Ari Aster, regista allievo della AFI Conservatory che ha esordito con quella perla di Hereditary (2018), film che qualcuno ha paragonato non troppo arditamente a L’Esorcista di William Friedkin. Il promettente cineasta, torna con Midsommar, quello che possiamo considerare il film horror più atteso (insieme a Noi di Jordan Peele) del 2019.
Ed è proprio l’acclamato regista di Noi, che si è espresso favorevolmente su Midsommar, affermando: “Alcune delle immagini più atrocemente disturbanti che abbia mai visto in un film, alle quali ho comunque assistito con la bocca e gli occhi spalancati.”
Aster ci mette se stesso nei sui film e infatti passiamo dal dramma familiare in veste horror di Hereditary, al decadimento amoroso di una coppia immerso in uno scenario folkloristico orrifico che trae ispirazione dalla cultura svedese, ma immerso un mondo ex novo e profondamente antico.
“Midsommar è un film che parla della fine di una storia d’amore vestito con gli abiti di un folk horror.”
Ari Aster
Dani e Christian sono una coppia in crisi, dopo diverse incomprensioni e terribili vicissitudini familiari (che non spoilero) la ragazza decide di partire aggregandosi al fidanzato e al suo gruppo di amici per un viaggio culturale in Svezia in una minuscola cittadina dove si svolgerà il Midsommar, il festival di mezza estate, la ricorrenza più importante del calendario svedese.
Verranno ospitati a Harga, un villaggio sperduto dove è cresciuto Pelle, uno del gruppo. In questo luogo scopriranno le particolari usanze di questa comunità e assisteranno ai loro più antichi riti religiosi. Ogni 90 anni però il Midsommar viene celebrato in un modo molto particolare e i nostri protagonisti lo scopriranno a loro spese.
Al contrario di quanto ci si possa aspettare, il film comincia con scene emotivamente forti e angoscianti, per poi proseguire cautamente nella costruzione di una storia che racconta la fine di una relazione amorosa, ma con le sembianze di fiaba tetra e cupa, dove “i lupi” vestono candide tuniche bianche.
In questo misterioso pellegrinaggio verso un luogo lontano, sarà emblematica la scena (che cita Shining) in cui la camera da presa dall’auto dei ragazzi riprenderà la strada per Harga: l’inquadratura mostrerà il percorso di fronte a noi e ruoterà lentamente di 360 gradi sull’asse orizzontale, come a voler rappresentare una curva temporale che trasporterà i protagonisti in un epoca remota, arcaica.
Il mondo moderno è ormai alle spalle, lo stesso mondo di Dani Ardour interpretata dalla bravissima Florance Pugh (Lady Macbeth), ragazza psicologicamente devastata da tragici eventi e da una relazione inadeguata. Quello che troveremo nella comunità di Harga è un cosmo di mitologia, tradizioni e culti primitivi estremamente violenti, incompressibili per l’uomo “evoluto”: un tipo di violenza che non accettiamo più in favore di altri tipi di brutalità che riteniamo moralmente accettabili o trascurabili.
Il disagio umano e l’inadattabilità al nostro tempo porteranno Dani ad accogliere favorevolmente il graduale indottrinamento da parte di questa tribù matriarcale. Troverà una nuova famiglia e l’empatia da parte degli altri che le mancava. L’opera si trasforma forse involontariamente in una conquista di consapevolezza femminile da parte della protagonista. Ad Harga, Dani trova quello che le è sempre mancato e trova il coraggio di tagliare con quello che non le serve. La nuova famiglia ha saputo darle ascolto e comprensione. Ora si trova in una comunità che da importanza alla condivisione delle emozioni, che siano belle o brutte.
La regia è maniacalmente perfetta e asciutta, trasuda un’eleganza stilistica che sembra appartenere ad altri tempi. Il film è ricco di elementi nascosti (easter egg), che svelano tramite il simbolismo “Aristeriano” ciò che accadrà in seguito. Il destino prescritto di Hereditary, ritorna quasi come un marchio di fabbrica del regista, come a voler dimostrare da parte del cineasta la sua convinzione che l’uomo non ha controllo sul suo destino.
Una piccola dose di scene splatter ben costruite nella regia e negli effetti speciali si disseminano soprattutto sul finale del film, ma l’horror in Midsommar non è rappresentato dalla violenza visiva o da un’entità malvagia soprannaturale. Anche gli stessi abitanti di Harga non rappresentano i “cattivi” della vicenda, il Male piuttosto è impersonificato dalle loro idee e tradizioni.
Il nostro sguardo antropologico e documentaristico su questo popolo tribale e sui loro riti, ci catapulta in atmosfere inquietanti e misteriose che ricordano il cult di Ruggero Deodato Cannibal Holocaust del 1980.
Ari Aster riscrive il genere horror (come Gaspar Noé con Climax), esplorando i meandri più oscuri dell’animo umano e della civiltà.
Propone un film stilisticamente meraviglioso che si colloca indiscutibilmente nella Hall of Fame del cinema horror.
Titolo: Midsommar
Titolo originale: Midsommar
Regia: Ari Aster
Attori: Florence Pugh, Jack Reynor, Vilhelm Blomgren
Genere: horror, drammatico
Durata: 140 minuti
Anno: 2019
Paese: USA