5 film di zombie recenti che hanno innovato un genere vicino alla saturazione.
Dopo il successo di titoli come Shaun of the dead (2004) e 28 Giorni dopo (2002), il genere zombie ha subito una sorta di revival, tornando in auge e riscoprendo non solo il consenso del pubblico ma anche della critica dopo anni nel dimenticatoio. Indubbiamente la nuova ondata di pellicole dedicate ai non morti ha portato ad una saturazione del filone, generando una serie di copie carbone dei titoli più conosciuti. Tuttavia, dragando nei meandri del mondo cinematografico a basso costo, è possibile scovare film indipendenti, perfetti per chi ama gli zombie, ma è stanco di vedere continuamente le stesse dinamiche. Proprio per risolvere questo annoso problema, ecco a voi una lista con 5 film sul mondo dei morti viventi che mixano al meglio classicismo e qualche puntina d’innovazione.
Road of the dead – Wyrmwood (2014) di Kiah Roache-Turner
Simpatica e tamarrissima horror-comedy a tema zombie. Direttamente dall’Australia, questo film a basso costo mescola sapientemente gli ingredienti a disposizione dando vita ad un buon prodotto d’intrattenimento fra sangue, risate e azione. Nei costumi e nelle ambientazioni richiama vagamente Mad Max (1979), mentre lo stile registico si rifà pesantemente al già citato Shaun of the dead. Pur non raggiungendo il livello del titolo di Wright e non apportando sostanziali modifiche al panorama zombesco, Road of the dead ha qualche cartuccia da sparare e lo fa senza mai prendersi sul serio, divertendo e divertendosi nel canzonare le più seriose produzione del filone. Buoni i personaggi di contorno, che compensano la staticità del protagonista. Il difetto maggiore risiede nella regia, eccessivamente “videoclippara” e frenetica.
The End? L’inferno fuori (2018) di Daniele Misischia
Interessante prodotto totalmente italiano a tema zombie diretto dal giovane Daniele Misischia. Pur ricalcando gli stilemi tipici del genere, la pellicola non risulta fiacca e stantia e coinvolge fin dai primi minuti preservando una tensione costante. La storia si svolge interamente in un’ascensore, scelta atipica che tiene botta malgrado qualche scricchiolio da metà visione in poi. Assente l’ironia, The end? si fonda su una scrittura sapiente dei personaggi (ottima prova di Roja nei panni del protagonista) e degli snodi narrativi, non disdegnando citazioni e qualche richiamo ai classici del sotto-genere. Forse il plot avrebbe beneficiato di un 10 minuti in meno, ma l’opera prima del regista romano merita un’occhiata sia per l’ottimo lavoro tecnico nonostante il basso budget sia per la volontà di ravvivare il cinema di genere nostrano.
Dead Snow 2: red vs dead (2014) di Tommy Wirkola
Dopo il successo del piccolo cult Dead Snow (2009), Tommy Wirkola rimette le mani sulla sua creatura dando vita ad un sequel assolutamente all’altezza e ben lontano dall’impostazione del capitolo originale. In questo secondo episodio il regista norvegese getta subito la maschera e lascia sullo sfondo l’horror concentrandosi principalmente sullo splatter e lo humour nero. Per certi versi, l’evoluzione della saga dei nazi-zombie ricorda quella di Evil Dead (non a caso Sam Raimi è uno dei principali ispiratori di Wirkola) e, più recentemente, quella di The Human Centipede. La pellicola non si ferma al solo Raimi, con il cineasta che prende a piene mani anche dal primo Peter Jackson e da Robert Rodriguez, in particolare dal cult Planet Terror (2007). Tuttavia, Dead Snow 2 sa camminare perfettamente con le proprie gambe e non si limita soltanto al mero citazionismo: tante le scene divertenti e irriverenti; non manca l’ironia nera e qualche stoccata alla società occidentale, senza dimenticare il sangue e gli sbudellamenti più caciaroni. La storia, seppur derivativa, regge e coinvolge; i personaggi non brillano per originalità ma non irritano e alcuni passaggi colpiscono nel centro. Infine, il finale weird è una chicca rara che riporta alla mente il Nekromantik (1987) di Jörg Buttgereit. Insomma, Dead Snow 2 sancisce il ritorno a grandi livelli per Wirkola e si dimostra un degno seguito del capostipite nonché una tappa fondamentale per tutti gli amanti della scuola horror alla Raimi e Jackson.
Deserto Rosso Sangue (2016) di Colin Minihan
In un mondo invaso da un’epidemia zombie, la frivola Molly vivrà la sua personale catarsi in un assolato deserto inseguita da un morto particolarmente persistente. Il titolo di Minihan è certamente il più pregno di contenuti della lista, condividendo alcuni spunti con The End? ma optando per una strada più intimista e personale. Indubbiamente tutto ruota attorno alla protagonista (una grande Brittany Allen) e alla sua introspettiva crescita, con il rapporto con l’inseguitore a suggellare un plot dalle numerose chiavi di lettura. Non mancano i momenti ironici e le sequenze crude, sebbene il focus resti incentrato sulla protagonista, il rapporto col figlio e il ruolo da atipico deus ex machina dello zombie. I rimandi a opere come Fido (2006) o Il giorno degli zombie (1985) sono riscontrabili in alcune idee ma, dopo i deludenti ESP, Minihan gira il suo prodotto migliore mettendoci molto del suo. Naturalmente le sbavature non mancano, ma Deserto Rosso Sangue non deluderà chi negli zombie-movies non cerca soltanto risate e squartamenti.
Zombie contro Zombie (2017) di Shuichiro Ueda
Zombie contro Zombie, caso cinematografico del 2018, è un film a bassissimo costo direttamente dal Giappone. Presentato come il consueto horrorino schizzato e fuori di testa tipicamente nipponico, il debutto di Ueda è in realtà un’opera meta-cinematografica molto intelligente e basata su una sceneggiatura a scatole cinesi perennemente in bilico fra finzione e realtà. Proprio sul concetto di realtà che diventa finzione (o viceversa?) verte la pellicola: composta da tre macro-segmenti, Zombie contro Zombie è tipo una matriosca che si scompone e ricompone progressivamente dai primi minuti fino ad arrivare ai titoli di coda, con le scene conclusive che suggellano in via definitiva l’intento del giovane filmmaker asiatico. Naturalmente non mancano i momenti ilari e squisitamente trash come solo i giapponesi sanno fare; ciononostante ci troviamo di fronte ad un fenomeno ben più complesso di quanto facesse pensare l’enorme successo commerciale con seguente battage pubblicitario a livello mondiale.