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Non aprite quella porta: L’elevated slasher di Tobe Hooper torna in Edizione Gold e al cinema

Non aprite quella porta (1974) - Gold Edition
Non aprite quella porta (1974) - Gold Edition

50 anni di incubi e riflessioni: come l’opera seminale di Tobe Hooper ha trasformato il genere slasher in un’esperienza autoriale e sociale.

A 50 anni dall’uscita di The Texas Chain Saw Massacre, arriva l’edizione Gold della Midnight Factory, (imperdibile se hai perso la splendida edizione uscita 10 anni fa, recensita qui) e torna al cinema in 4K e in lingua originale con i sottotitoli in un evento speciale il 23-24-25 settembre organizzato sempre dalla Midnight.

L’opera slasher di Tobe Hooper, divenuta sempre più cult, è diventata oggetto di studio e considerata seminale per quello che oggi possiamo definire il genere “Elevated slasher”. Un horror con una cifra stilistica innovativa che trasforma il genere slasher in qualcosa di più significativo, aggiungendo tematiche sociali e una profonda psicologia, diventando di fronte alla cecità globale un film “autoriale” a tutti gli effetti.

Se effettivamente slasher come Venerdì 13, a cui non si vuole togliere dei meriti per la semplicità ed efficacia, avevano poco da dire, Non aprite quella porta (come lo chiamiamo da queste parti) è un film ricco di riflessioni sulla società degli anni ’70 americana. Un palcoscenico per le fobie sociali e il lato oscuro e recondito della psiche umana. Un’opera che sviscera le paure della società moderna a un livello così profondo e attuale da diventare un film immortale.

“L’adorabile” famiglia di Leatherface si ciba di altri esseri umani; questo li rende reietti senza scrupoli e morale, li designa come il male assoluto. Eppure, chi giudica ciò abominevole ignora le prevaricazioni e i soprusi perpetrati verso i nostri simili, voltandosi dall’altra parte di fronte a genocidi e guerre innescate in nome della democrazia e della civiltà. Sposa i valori di una società che ci incita alla competizione per scalare quella piramide del potere, che ci consentirà di vivere sulle spalle dei più deboli. Cane mangia cane, una forma di “cannibalismo” più moderata e socialmente accettata, ma sicuramente non meno spietata.

Non aprite quella porta (1974) – Dietro le quinte

La famiglia Sawyer vive secondo le sue regole e tradizioni, e ci ricorda come una parte del genere umano rimane incompatibile con l’altra e quanto questa divergenza possa diventare pericolosa. Una delle due parti dovrà “mangiare” l’altra per sopravvivere. Il pregiudizio e la paura per lo straniero, in questo caso “il bifolco”, da parte della gente di città, si materializzano trasformando questo racconto in un horror scioccante che avrà fatto passare la voglia di fare una vacanza in campagna a migliaia di persone.

C’è anche una piccola “denuncia” pro-vegan in The Texas Chain Saw Massacre. Forse non del tutto consapevole, ma nel contesto odierno l’opera di Hooper sembra un film contro il trattamento degli animali negli allevamenti intensivi. Uno dei personaggi più amati dal pubblico, Bubba Sawyer, conosciuto come “Faccia di cuoio” o “Leatherface” in inglese, tratta le sue vittime come bestie al mattatoio. Kirk, interpretato da William Vail, stramazza tra le convulsioni dopo un colpo di martello in testa e Pam (Teri McMinn) viene appesa a un gancio come un suino pronto a diventare prosciutto.

Al di là delle letture che possono nascere mezzo secolo dopo, The Texas Chain Saw Massacre è un film che dal punto di vista tecnico è abile a sfruttare i pochi mezzi che ha per creare suspense e momenti di alta tensione psicologica. Il budget limitato ha impedito l’uso di una gru cinematografica che, potendo sollevare la telecamera ad altezze significative, avrebbe permesso riprese panoramiche dall’alto. Questo ha dato un imprinting iniziale a tutta la produzione “costringendo” Hooper a diventare più intimo nello stile, girando molte scene ravvicinate, dal basso e sbollate (inclinate in modo anomalo), generando nello spettatore sensazioni disagianti e scomode.

Tobe Hooper ha fatto ricorso anche a una scenografia ricca di elementi disturbanti come lo sporco e le ossa. Il film stesso si potrebbe definire un ossario in pellicola, che cerca sempre di ricordarci la volatilità della vita. Immagini psicologiche come il volto mascherato ma comunque espressivo di Leatherface, con uno sguardo bambinesco perso nell’incertezza delle sue azioni, sono una dichiarazione di follia e di illeggibilità del male. Un abisso psicologico inesplorabile che ricorda la follia del “collega” Michael Myers.

Non aprite quella porta (1974) – Dietro le quinte

Seppur possa sembrare rozzo per il contenuto, sudicio e brutale, Non aprite quella porta regala splendide immagini nelle inquadrature, nei movimenti di macchina e per la fotografia; una tale bellezza era così inconcepibile aspettarsela in un horror slasher negli anni ’70 considerato b-movie, che per un bel po’ di tempo è passata inosservata al pubblico e alla critica.

Gli elogi a questa pellicola sono ormai moda e motivo per autocelebrarsi. Ma prima ancora che questo film fosse rivalutato nelle decadi successive, divenne uno dei miei horror preferiti, minacciando il mio podio personale comodamente presieduto da “La notte dei morti viventi”, per un aspetto innovativo per me determinante e che oggi difficilmente trovo nel cinema horror. Mi riferisco all’avvio di atteggiamenti nevrotici e antiestetici come le grida perpetue della final girl Sally Hardesty, interpretata da Marilyn Burns che donano un realismo fuori dal comune. Le sue urla condannano il pubblico a un finale straziante, che più che intrattenere, angoscia lo spettatore trascinandolo in emozioni che raramente si provano guardando un film.

Oggi registi come Ti West, che hanno visto il potenziale autoriale del cinema slasher, ripropongono questa soluzione ibridandola, fondendo l’entertainment del cinema di genere fatto di spaventi e atmosfere cupe con temi sociali e psicologia. In X, uno slasher con tanto di scene hot, West riesce a toccare il tema della sessualità e dell’invecchiamento, esplorando un tripudio di disturbi mentali, depravazioni e ossessione religiosa, lasciandoci diversi temi su cui riflettere. Mi trovo quindi del tutto in disaccordo con lo snobismo dell’alt(r)o cinema nei confronti dell’horror, che si palesa anche attraverso le parole di Paul Schrader che definisce lo slasher “un sottogenere con così tanti limiti” e considera l’operazione di X, Pearl e MaXXXine “una riconfigurazione del trash”, spronando West a passare al cinema di “Serie A”.

Il cinema della paura è invece ricco di opportunità, è la sfida di chi ha coraggio di guardarsi dentro senza timore e pudore, e lo slasher è solo uno dei suoi sottogeneri che sia un “elevated slasher” o un “slasheraccio di serie B”.

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