Il regista Alfred Hitchcock dirige quello che diventerà il prototipo del moderno cinema sui serial killer. La recensione di Psycho
La giovane Marion decide di compiere una pazzia: ruba quarantamila dollari al suo datore di lavoro e fugge verso il nord della California. Durante la fuga, decide di fermarsi a dormire in un motel lungo la strada, gestito dal misterioso e inquietante Norman. Lui le racconta che vive lì con sua madre e che si dedica alla tassidermia nel tempo libero. Giorni dopo arrivano al motel il ragazzo e la sorella di Marion. Sono in cerca di lei. Sulle sue tracce è anche il detective Arbogast, incaricato dall’assicurazione di scoprire che fine abbiano fatto i quarantamila dollari presi dalla ragazza. Presto ai tre nascerà il sospetto che Bates sappia molto più di quello che dice su Marion.
Quando François Truffaut intervistò il regista inglese, nell’indispensabile Il cinema secondo Hitchcock, gli domandò cosa l’avesse spinto di quel romanzetto falso di Robert Bloch, a scegliere di ricavarne quello che poi sarebbe diventato un indiscutibile capolavoro cinematografico della suspence e dell’orrore. E il vecchio Alfred rispose: “la scena della doccia… arrivò così all’improvviso da lasciarmi spiazzato. Inoltre sembrava più uno stupro che un omicidio”.
La scena della doccia è una delle più celebri della storia del cinema, tanto che evitare di spolerarla oggi è quasi impossibile. Ed è un peccato, potremmo metterci per un secondo nei panni di quel pubblico fortunato che si ritrovò catapultato in fondo a un precipizio, dopo aver percorso ciò che sembrava una sicura strada narrativa. Nei limiti del possibile cercheremo di non essere più espliciti e lasciare il pubblico ignaro, scopra da solo cosa si vuole intendere.
Nel mentre soffermiamoci sui particolari di come è girata la scena. In essa c’è tutta la magia e la filosofia di Alfred Hitchcock. Per prima cosa, sia chiaro, il coltello non colpisce mai il corpo della vittima. Eppure la serie di sequenze è montata e ritmata in modo tale da illudere lo spettatore che lo sia. C’è chi ha giurato negli anni di aver visto la lama affondare nella carne. E così non è, vi assicuriamo. Del resto, per quanto Psycho sia stato girato pensando a un pubblico nuovo, pronto a cose che quello dei vecchi film di Hictch non poteva essere pronto ad accettare, è pur sempre il prodotto di un gentiluomo inglese, morso dal pudore e dalle buone maniere.
Come fa notare Fabio Giovannini nel suo splendido studio intitolato Serial Killer – Guida ai grandi assassini nella storia del cinema (cercatelo su e-bay) la poetica di Alfred Hitchcock è efferata ma molto pulita. Non c’è sangue o quasi. E sappiamo perché il cinema di Hitchock è così anemico. Lo stesso motivo per cui Marion (Janet Leigh), nella scena del motel, all’inizio del film, porta il reggiseno durante un momento di effusioni con il suo amante, mentre il comprimario Sam (John Gavin) è a torso nudo. Lo stesso regista ammise con Truffaut che la Leigh avrebbe dovuto stare a petto scoperto, come era naturale aspettarsi in un contesto simile. E che lui non ci avrebbe visto nulla di perturbante in quella situazione, immersa in un senso di tristezza e frustrazione. Alfred però spiega che lui stesso ha condotto lo spettatore a intrufolarsi nell’intimità di questi due personaggi dalla finestra, come un perfetto spione. Dargli pure un seno da guardare sarebbe stata un’offesa imperdonabile.
Dario Argento, considerato da sempre uno dei più brillanti e malati allievi di Alfred Hitchcock è solito impersonare con le sue stesse mani (coperte il più delle volte da guanti neri) quelle dell’assassino. E l’esempio nel farlo l’ha preso proprio Hitchcock. Non sono certo quelle di Norman Bates (Anthony Perkins) a pugnalare l’aria nella scena della doccia.
Alfred Hitchcock dice a Truffaut un’altra frase interessante: “credo che la storia fosse ripresa da un fatto realmente accaduto”. Curioso che ne avesse un’idea così vaga, perché Robert Bloch ha sempre dichiarato chi l’avesse “aiutato” a inventare il personaggio di Norman: uno dei più tremendi serial killer mai esistiti. Ed Gein, il macellaio del Wisconsin.
Gein è praticamente la base creativa da cui sono sprigionati altri mostri celebri della nostra cinematografia preferita. Oltre alla fedele trasposizione delle sue gesta nello stupendo Deranged – Il folle (1974) diretto da Jeff Gillen e Alan Ormsby, Gein ispirò Kim Henkel e Tobe Hooper per l’intera famiglia cannibale di Non aprite quella porta e persino Thomas Harris per il Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti. (Se volete saperne di più fate click qui).
Ma è soprattutto Norman Bates a incarnare meglio il vecchio Ed, e stranamente Hitchcock di questo aspetto si cura poco. Eppure Psycho è uno dei suoi film più realistici. Per realismo intendiamo un’illusione concertata in modo impeccabile, perché chiaramente, tornando al discorso della doccia, nel cinema è così che funziona. Nulla è reale ma può essere finto o realistico. Sono la stessa cosa, tranne che nel secondo caso avviene una vera e propria magia.
E Alfred Hitchcock è forse il maestro più grande mago che vi possa avvincere. In Psycho poi la tendenza a confondere il pubblico è altissima. Per certi versi possiamo quasi definirlo un film espressionista, specie pensando alla rappresentazione così minacciosa (che vediamo con gli occhi di Marion) del poliziotto con gli occhiali. Non è un mistero che in questo spunto sia presente una delle più recondite paure del regista stesso, atterrito dalle figure autorevoli, con il potere di fare qualsiasi cosa vogliano di noi poveri civili.
Il poliziotto con gli occhiali si china sul vetro dell’auto parcheggiata sulla strada e trova una ragazza sdraiata sui sedili. Sta dormendo ma lui batte sul vetro e la ridesta. Lei si vede il faccione gigantesco che indossa gli occhiali neri a goccia e si spaventa come se là fuori ci sia il mostro della palude. Considerando il motivo per cui è in auto, lontano da casa, potrebbe essere stato meglio per lei incontrare la creatura degli acquitrini piuttosto che la polizia, ma alla fine non potrà lamentarsi, avrà a che fare con esponenti di un mondo ben più oscuro e terribile rispetto a un poliziotto sospettoso.
E arriviamo quindi alla figura di Norman Bates. Diciamo subito, citando ancora Fabio Giovannini, che Hitchcock è il primo dei grandi registi ad aver introdotto la figura di un serial killer al cinema. Il pensionante, diretto da lui, è infatti del 1927, mentre M – Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang arriva quattro anni più tardi. Ma tutti gli assassini delle storie rappresentate da Hitch hanno un modo bestiale e soprattutto rapsodico, improvviso e sconvolgente di manifestare i propri impulsi omicidi. Hanno una facciata misurata e rassicurante e una vera essenza brutale. Molti ammazzano per soldi o per passione mentre nel caso di Bates, c’è qualcosa di più losco e imbarazzante, mai affrontato in modo così “clinico”, persino con una spiegazione psicologica finale che serve più a Hitchcock che alla gente. “Non convince neanche molto come lettura psichiatrica”, dice Giovannini, ma è essenziale per il regista tenere l’animale umano nella gabbia della razionalità.
La figura di Ed Gein avrebbe dato a Norman Bates un’infinità di spunti efferati che moderatamente sia Hooper che Jonathan Demme, tenteranno di rappresentare. Anche Tobe fa un po’ lo stesso gioco illusorio di Hitchcok, se badate bene alle scene violente di Non aprite quella porta. Il parallelo principale è quello di Pam (Teri McMinn) la vittima appesa a un uncino. Gli spettatori credono di vedere il ferro appuntito che sprofonda nella schiena della ragazza, ma come per le coltellate di Psycho sotto la doccia, si tratta di una splendida illusione.
Invece, il duo Jeff Gillen e Alan Ormsby in Deranged – Il folle, non esiteranno a mostrare le disgustose e atroci nefandezze compiute dal “vero” Gein nella sua casa. Robert Bloch invece (il cui romanzo non è brutto come dice Truffaut, anzi) e soprattutto Alfred Hitchcock optano per la suggestione e in fondo vincono. Eccovi un esempio di quanto mostrare non sia sempre la soluzione migliore per un effetto profondo nella psiche dello spettatore. La risposta è la trovata della tassidermia. Norman vive solo con la madre, lo racconta alla ragazza arrivata al motel. Tra i due c’è una conversazione quasi penosa in cui lui le confessa che il suo solo passatempo sia la tassidermia. Dietro Bates notiamo vari uccelli impagliati, tutti bene in mostra. Nel libro Mario scorge solo un’allodola impagliata ma nel film c’è un’intera voliera. La loro presenza è angosciante ma non ne capiamo bene il motivo. I becchi, gli occhi vuoti… no. La ragione è che sono tutti uccelli predatori e si trovano alle spalle di Norman. Sono una perfetta rappresentazione di ciò che è lui. Mentre lei, Marion, “mangia come un uccellino”, le dice Bates e non è un caso, perché in quella gabbia di aquile e sparvieri, la ragazza è solo un minuscolo pettirosso indifeso e proprio davanti ha il peggiore di tutti gli avvoltoi. La tassidermia non è solo un passatempo “weird” per una persona un po’ stramba che vive con la mamma e talvolta si esprime come un bambino mai cresciuto, è anche un modo di avvicinare Norman alla morte e suggerire allo spettatore una sua confidenza con viscere e tessuti necrotizzati quotidiana ben più inquietante di quello che potrebbe suggerire lo sguardo un po’ fuori fuoco dell’uomo in certi momenti della sua conversazione, specie quando menziona la sua mamma malata di nervi.
Due parole sulla casa. A qualcuno può sembrare una strizzata d’occhio agli horror della Universal; è lugubre e cupa come un vecchio castello. Per la verità, Hitch assicura che in California, di magioni così, isolate e pesanti, ce ne sono parecchie. Lo stile è definito appunto “gotico californiano” e l’intenzione del regista non era quindi quella di introdurre un po’ di vecchia Europa in un contesto americano assolato e moderno, ma di essere solo il più verosimile possibile rispetto all’ambientazione. Una casa come quella era la cosa più vera che Janet Leigh potesse trovare lungo il suo percorso da brivido.
Su Psycho ci sarebbe da dire ancora tantissimo, ma rischieremmo di ammorbare lo spettatore con una serie di considerazioni ormai scolastiche e risapute. Se non l’avete fatto, guardatelo di corsa. E se lo conoscete già, vedetelo ancora una volta. Questo è un film che non finisce mai di sorprendere.
Titolo originale: Psycho
Regia: Alfred Hitchcock
Attori: Janet Leigh, Anthony Perkins, Martin Balsam
Durata: 109 minuti
Anno: 1960
Paese: USA