La nostra classifica dei 6 migliori film horror Rape and Revenge.
Il filone “rape and revenge” è un sottogenere del cinema horror, il cui nome tradotto significa “stupro e vendetta“. Come è facilmente intuibile a monte della vicenda c’è sempre una violenza carnale, ai danni di una o più donne, di solito perpetrata da un gruppo, che avrà poi la peggio nel finale (la “vendetta”).
Revenge
Iniziamo con un film recente, ma che si merita a pieno di rientrare in questa classifica: “Revenge” (2018) di Coralie Fargeat, già ad un primo sguardo, questa pellicola appare diversa dalle altre: un rape & revenge diretto da una donna, con colori pop come non si erano mai visti. Intriga e invoglia, sia per la tematica morbosa e malsana, che per la confezione patinata e colorata da “commedia americana”. La decisa discrepanza tra questi due elementi fa di Revenge un film decisamente interessante. La trama è nota a tutti coloro che sono avvezzi a questo genere di pellicole: una bella ragazza, in questo caso ben consapevole del suo fascino, finisce vittima di un branco di predatori maschi. Nel caso di Revenge l’inizio è quasi rassicurante. Vediamo infatti la protagonista, Jen (Matilda Ana Ingrid Lutz, davvero bella), insieme al suo ricco amante, Richard (Kevin Janssens), pronti per un weekend tutto per loro. L’elemento di disturbo sono gli amici di lui, Stan (Vincent Colombe) e Dimitri (Guillaume Bouchede) che, arrivati inaspettatamente sul posto, scateneranno gli eventi che porteranno alla carneficina. Sì, la carneficina, e no, non è uno spoiler, si sa benissimo dove andrà a parare la storia. Quello che conta è il come.
In “Revenge” prima assistiamo alla violenza su Jen, che viene mostrata e al contempo quasi suggerita tramite suoni e inquadrature che mostrano l’indifferenza che la circonda (può essere terrificante un uomo che mastica uno snack? scopritelo!). Dopo l’umiliazione, gli uomini cercano di sbarazzarsi della donna, che però riesce a sopravvivere, potendo così mettere in atto la sua vendetta. Implacabile e fredda Jen, nonostante il suo aspetto da “ragazzina stupida”, rivolgerà tutta la sua rabbia contro coloro che l’hanno violentata. Anche se forse la pena peggiore la pagherà Richard, l’unico di cui si fidasse e che l’ha tradita. Con “Revenge” siamo di fronte a un film violento e ultra gore, almeno per quanto riguarda certe scene. Questo di sicuro è un punto a suo favore, insieme a notevoli intuizioni registiche e fotografiche. La pecca di “Revenge” forse sta nell’aver reso il personaggio di Jen fin troppo supereroistico, elemento che a lungo andare stanca.
In ogni caso, vista la qualità del comparto grafico e la prelibatezza delle scene gore si può perdonare qualche pecca in fase di scrittura, perché “Revenge” è un prodotto che interessa e intrattiene dall’inizio alla fine.
La fontana della vergine
Il capostipite di questa breve rassegna però è “La fontana della vergine” (“Jungfrukallan”, Svezia, 1960) di Ingmar Bergman con Max Von Sydow tra i protagonisti. La trama, che presenta tutti gli elementi che diventeranno ricorrenti in questo genere di film, vede due briganti violentare e uccidere una ragazzina per poi cercare ospitalità proprio dai suoi genitori, che avranno la loro vendetta. L’interpretazione di Von Sydow è come sempre impeccabile, così come la regia di Bergman, che mostra allo spettatore scene violente (sia fisiche che psicologiche) incorniciate in splendidi e algidi paesaggi, freddi quanto i protagonisti della pellicola quando mostrano indifferenza (la serva che accompagna la ragazza) o controllato furore (Von Sydow, suo padre). Nessun particolare macabro ne “La fontana della vergine”, ma solo grande horror d’autore.
L’ultima casa a sinistra
Dodici anni dopo è Wes Craven a cimentarsi col “rape and revenge”, girando “L’ultima casa a sinistra” (“Last house on the left”, USA, 1972). Craven, qui al suo esordio alla regia, lavora al progetto con Sean Cunnigham (Venerdì 13), che qui è nelle vesti di produttore. La trama è praticamente la stessa: qui le due giovani protagoniste Mari e Phyllis (Sandra Cassel e Lucy Grantham) mentono ai genitori di Mari per recarsi a un concerto. Appena arrivate in città incontrano i loro futuri carnefici, che le sequestreranno e tortureranno, per poi finire a loro volta brutalizzati dai genitori della ragazza. Niente di nuovo sul fronte della trama, che praticamente ricalca il film di Bergman, ma sul piano visivo siamo di fronte a un nuovo e notevole livello di violenza. Craven non risparmia nulla allo spettatore, tanto che gli furono imposti moltissimi tagli per passare il visto della censura. Tra le scene eliminate vi era ad esempio quella di Sadie (una degli aguzzini) che maneggia le interiora di una delle ragazze. Sono sopravvissute comunque molte scene impressionanti, come lo stupro di Mari o l’evirazione a morsi. “L’ultima casa a sinistra” venne presentato come un documentario (potrebbe essere imparentato alla lontana con i film horror stile documentario, anche se qui la pretesa di realismo non intacca lo stile del regista, ma si limita a una frase riportata all’inizio della pellicola) da far vedere nelle scuole per educare i ragazzi, che per evitare di rimanere terrorizzati possono ripetersi “è solo un film…è solo un film…è solo un film.”, come recita l’indovinata tagline. Tra gli interpreti del film troviamo David Hess, che interpreterà di nuovo un aggressore nel successivo “Quella villa in fondo al parco” di Ruggero Deodato.
L’ultimo treno della notte
Nel 1975 anche l’Italia si avvicina al genere “rape and revenge”, quando Aldo Lado gira “L’ultimo treno della notte” (Italia, 1975). Protagoniste della vicenda sono di nuovo due ragazze (Irene Miracle e Laura d’Angelo) che salgono su un treno notturno che da Innsbruck deve riportarle a casa, a Verona. Sullo stesso treno troveranno due uomini e una donna (Macha Meril, nota per “Profondo Rosso”, Gianfranco de Grassi e Flavio Bucci) che le sevizieranno, per poi però finire preda dei genitori di una di loro (il padre è interpretato dal sempre grande Enrico Maria Salerno). Nonostante la base sia sempre molto simile agli altri film ne “L’ultimo treno della notte” Lado dà molta più importanza alla psicologia dei personaggi e confeziona scene piuttosto violente, riservando anche una piccola sorpresa sul finale. Inoltre i tre aguzzini non si conoscono già: la Meril infatti si unisce al gruppo sul treno, rivelandosi la più perversa. Film molto interessante e ben interpretato, di certo rimarrà impressa nella mente dello spettatore la scena dello stupro con il coltello: assolutamente consigliato.
Non violentate Jennifer
Veniamo ora a un altro dei “rape and revenge” per antonomasia, “Non violentate Jennifer” (“I spit on your grave”, USA, 1978) di Meir Zarchi. In questo film Camille Keaton (“Che cosa avete fatto a Solange?”, “La stanza delle farfalle”) impersona la scrittrice Jennifer Hills, che si ritira in una baita isolata per terminare la stesura del suo primo romanzo. Già dal suo arrivo viene infastidita da alcuni uomini del luogo, ma non può immaginarsi che la aggrediranno brutalmente nella sua casa. Credendo di averla uccisa abbandonano il suo corpo, ma Jennifer non è morta, e una volta ripresasi dalle ferite organizzerà la sua vendetta. “Non violentate Jennifer” è cattivissimo, dall’inizio alla fine: prima sono impressionanti le scene in cui la protagonista viene picchiata e violentata dal branco, e i suoi tentativi di fuga, nuda e sanguinante, in mezzo ai boschi; ma forse sono ben peggiori le sorti che toccano ai suoi violentatori. Assistiamo veramente a un’escalation di furore di Jennifer, che parte da un’ impiccagione, passa per un’ evirazione (scena forse più impressionante di quella di “L’ultima casa a sinistra”) e termina utilizzando un’arma decisamente impropria: un motoscafo. Film assolutamente da vedere, e credo meriti una menzione anche il remake realizzato nel 2010 da Steven Monroe (“I spit on your grave“, USA, 2010) e interpretato da Sarah Butler. La trama rimane la stessa con qualche variazione sul tema e chiaramente qualche aggiornamento, dato che sono passati più di 30 anni dal film originale. Il livello di violenza è molto elevato, e forse il regista mostra più a fondo alcune torture, dopotutto anche la censura in 30 anni agisce su canoni differenti. Non migliore dell’originale, ma di sicuro un ottimo remake: consigliati entrambi.
La casa sperduta nel parco
Concludiamo con un altro italiano, Ruggero Deaodato (“Cannibal Holocaust”), che nel 1980 gira “La casa sperduta nel parco“. La trama vede David Hess nei panni di uno stupratore, che viene invitato insieme a un amico (Giovanni Lombardo Radice) a una festa in una villa. Hess inizia presto a mostrare la sua follia, ma forse il più pazzo non è lui: per usare le parole dello stesso Deodato ci si potrebbe forse chiedere chi siano i “veri cannibali”. L’immagine forse più impressionante di questo “rape and revenge” è lo stupro iniziale, consumato in macchina da Hess ai danni di una ragazza bionda, interpretata da sua moglie Karoline Mardeck.
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