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Relic – Recensione

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L’horror definitivo sull’Alzheimer. La recensione di Relic

Relic – Recensione

L’Alzheimer è una delle malattie più terrificanti che si possano affrontare. Sorprende che l’horror l’abbia raccontata così poco. Relic si basa su un’esperienza vera, vissuta della regista. Il film racconta la paura ma soprattutto il dolore per la perdita graduale e inesorabile di chi ci è caro. Natalie Erika James, in coppia con il co-sceneggiatore Christian White, è riuscita a distillare dal marciume definitivo, quel sidro che è solitamente intrinseco nell’odore di morte. La puzza di cadavere è descritta come “dolciastra” in milioni di pagine letterarie scadenti ma Relic riesce a farcelo sentire sul serio, specie nell’epilogo che sconvolge e commuove insieme.

Relic ci parla anche della ruota che gira e del cerchio che reclama di chiudersi, quando è la madre a insistere che c’è qualcosa sotto al letto o fuori dalla finestra e la figlia minimizza e si spazientisce, minacciando la donna di portarla in una casa di riposo, mentre un tempo era la madre a dire alla figlia di condurla nel vecchio casolare dove morì pazzo il bisnonno, e chiudercela dentro, se non la smetteva di fare i capricci e dormiva finalmente.

Alle tre donne, nonna, madre e figlia (rispettivamente Robyn Nevin, Emily Mortimer, Bella Heathcote), bisogna aggiungere un altro personaggio femminile: la casa. Gonfia di vecchie cianfrusaglie, sempre meno governata, con le pareti macchiate di muffa e rumori ventricolari, la dimora è malata quanto la vecchia Edna. Chi fa visita a un anziano durante gli ultimi anni della sua vita, si accorge di quanto la magione in cui sta arrancando ogni giorno, invecchi con lui, impuzzolendosi e appassendo in una inesorabile odissea antisettica. La casa dovrebbe essere un tesoro di vecchi ricordi, ciò che rimane di una lunga vita passata in tranquillità tra quattro mura, ma cosa succede quando la mente divora quei vecchi ricordi? Cosa diventa una vecchia casa se il proprio custode smette di ricordare? Una casa può arrabbiarsi e vendicarsi di un simile sopruso.

Nel recente cinema del contagio, le macchie presaghe compaiono sui corpi ma è sempre più frequente vedere i personaggi accettarle e nascondere i segnali di un cambiamento degenerativo. Viene in mente il protagonista di Wounds di Avari, per non parlare dei deliri poetici di Thanatomorphose di Falardeau. I malati non corrono più dai medici ma allevano il male che affiora e lo proteggono da occhi indiscreti, almeno fin quando non sarà impossibile fermarlo.

Relic è una vita di mezzo tra un moderno covid-movie e l’apnea emotiva del nuovo cinema di Ari Aster. La malattia mentale non piove dal cielo ma cresce nella terra, sugge dalle radici di vecchi segreti sepolti negli sgabuzzini, imporpora le mura di vetusti incubi e le pareti di antichi petti.

Rispetto a The Taking Of Deborah Logan di Adam Robitel e l’ottimo The Visit di M. Night Shyamalyn, Relic non vuole costruire chissà quale ordito partendo dalla malattia e finendo in caciara nel soprannaturale e l’intrigo psicologico, ma sprofonda nel male, restituendoci la solitudine di tenebra minacciosa del vivere accanto a qualcuno che a poco a poco non è più lui e in proporzione inversa, non percepisce più noi come noi.

Titolo: Relic
Titolo originale: Relic
Regia
: Natalie Erika James
Attori: Aylin Prandi, Sean James Sutton, Valentina Ferrante
Genere: Horror, drammatico
Durata: 89 minuti
Anno: 2020
Paese: Italia

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