Analizziamo il fenomeno dei remake dei film horror che ha caratterizzato questo nuovo millennio.

I remake horror, soprattutto quelli tratti dai film più cult, si sa, generano sempre grandi aspettative, miste a curiosità e in alcuni anche pregiudizio. Quante volte siamo rimasti delusi dalla prima visione di una pellicola tanto decantata come: “Il remake di…”?

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È dall’anno 2000 che ha avuto il via la forte ondata dei remake di film horror; come se tutto d’un tratto, fossero finite le idee con il millennium bag; soprattutto nell’horror, e di conseguenza, anzi, in contrapposizione sono nati i cosiddetti “intenditori da divano” saccenti, pronti a scagliarsi ferocemente contro qualsiasi rifacimento relativo ai loro film preferiti. (Non offendetevi, noi siamo dalla vostra parte).
Cos’è che tanto viene criticato però? Di sicuro la mancanza di fedeltà all’originale, siamo abituati a vedere “cose” che quando vengono a mancare, o addirittura vengono tramutate, ci lasciano quel senso di fastidio atavico, ci fanno dire: “cosa diamine?”.

horror remake vs originali
horror remake vs originali

Sono lontani i tempi in cui la paura era in grado di permeare la mente dello spettatore e di lasciare in essa ricordi emotivamente ansiogeni come accadeva per L’Esorcista (1973) di W. Friedkin, cult senza equali.
È anche vero che un tempo per l’assenza della “tecnologia cinematografica”, le scene apparivano agli occhi del grande pubblico molto più inaspettate, come nel caso della pellicola “L’ultima casa a sinistra” (1972) di Wes Craven, che addirittura subì parecchie censure per le troppe scene di violenza. Il film, in effetti, mostrava stupri, tanto sesso e altrettanto sangue, aspetti tra l’altro nuovi per gli anni Settanta.

Nel 2009 poi è stato realizzato un remake alquanto piatto per quanto riguarda l’aspetto relativo al coinvolgimento dello spettatore, avente lo stesso titolo dell’originale e diretto da Dennis Iliadis, un horror senza alcuna censura. D’altronde riuscire nel confronto con registi di gran livello come Craven è impresa ardua.

Le pellicole degli anni settanta hanno contribuito a creare le basi per tutta la crudezza che viene mostrata nei film dei giorni nostri. È il caso del classico “Non aprite quella porta” (1974) di Tobe Hooper, basato su il violentissimo massacro di un gruppo di ragazzi da parte di un mostro mascherato armato di motosega noto come Leatherface. All’epoca il film si rivelò un vero e proprio caso mediatico a causa dell’introduzione di un particolare che oggi rappresenta una chicca al cinema: la frase iniziale “Tratto da una storia vera”. Grande mossa di marketing considerando che si trattava di una vera e propria bufala. Il rifacimento del 2003 di “Non aprite quella porta” diretto da Marcus Nispel rappresenta un remake ben riuscito, capace di ridare lustro a Faccia di cuoio con atmosfere angoscianti e desolanti in un ambientazione torrida tipicamente texana del quale il cinema pareva essersi dimenticato.

Un altro esempio di buon remake che va menzionato è “The ring” (2002) di Gore Verbinski, definito dalla critica persino meglio dell’originale che molti neanche conoscono intitolato “Ring” di Hideo Nakata del 1998. In questo caso Hollywood è riuscita a rendere più spaventoso ed inquietante un horror nipponico.

Anche per i due titoli citati, bisogna ringraziare Hooper che ha creato il filone della cosiddetta “final girl” ossia la ragazza che sopravvive dopo mille peripezie al massacro, aspetto dominante e onnipresente nelle pellicole horror in cui il finale non è ben riuscito se non c’è qualcuno che sopravvive tra i martiri.
Detto questo, noi continuiamo a sperare nella nascita di idee innovative, i cult lasciamoli al loro splendore, per gustarceli con il loro aroma vintage.

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