Arriva The Blackout Experiments: il documentario che esplora la dimensione estrema del terrore.

Avete mai pensato di vivere la vostra più grande paura? Essere la cavia di un esperimento mostruoso, testare la prigionia in prima persona, fuggire da un branco di serial killer. Completamente indifesi. In pericolo. Solo una parola può salvarvi. Questa è la nuova dimensione del terrore. Questa è la Blackout Haunted House. Blackout è un’esperienza di “immersive theater”, realizzata da Kristjan Thor e Josh Randall nel 2009. È una sorta di “casa stregata” estrema, ideata dal desiderio dei creatori d’entrare in contatto con una più autentica situazione di terrore.
Parteciparvi è molto semplice. I visitatori devono confessare le loro più profonde paure agli addetti, così che l’esperienza possa essere il più possibile personale. Inoltre, i partecipanti sono obbligati a firmare una liberatoria di responsabilità affinché gli attori possano interagire fisicamente con loro, anche se non ci si potrà poi “difendere” dai medesimi. In gruppo o da soli, i visitatori saranno quindi in balia degli eventi, solo una parola scelta potrà interrompere tutto nel caso in cui il terrore possa essere eccessivo. Blackout è una realtà itinerante che cambia sia a seconda della località in cui si insidia sia nel tempo, così che sia impossibile prevedere cosa ordiranno i creativi di volta in volta.

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Come si sarà intuito, Blackout non è per tutti. Sebbene ci si trovi in un contesto controllato, lo stress psicologico a cui ci si sottopone è ad altissimo livello. Ispirato da questa nuova frontiera dell’orrore, nasce il documentario The Blackout Experiments di Rich Fox, che ha debuttato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival 2016.

L’intenzione dell’opera è proprio quella di rappresentare nella maniera più fedele la dimensione dell’esperienza Blackout. Il documentario lo fa immergendosi direttamente nello spettacolo attraverso un gruppo di amici, assidui frequentatori degli eventi. Infatti, l’obiettivo del prodotto sembra proprio cercare risposta alla domanda: perché i visitatori continuano a tornare più e più volte? Nonostante i partecipanti siano insultati, legati, terrorizzati e umiliati, questi ritornano ancora e ancora per un’altra dose d’adrenalina. Inoltre, l’esperienza non termina qui, ma è continuata dai partecipanti tramite la condivisione di ciò che hanno vissuto, provato e visto tramite gruppi di supporto fatti di altri “sopravvissuti”.

Attraverso le immagini, i suoni e le interviste, lo spettatore è inserito a 360° nella dimensione Blackout. Il documentario afferma l’autenticità di tutto ciò che vediamo, ma anche se fosse finto la metà sarebbe comunque impressionante. In particolare, ciò che tocca durante la visione di The Blackout Experiments non sono solo le situazioni oscillanti tra “labirinto degli orrori” e “snuff movie”, ma la dipendenza dei protagonisti verso la paura che, raggiunti livelli estremi, si dissipa in loro in una sorta di catarsi, di pace interiore.

Non siamo estranei, in verità, a questi comportamenti. Il “purificarsi”  attraverso la paura è un concetto antico che risale ai tempi del teatro greco. Lo stesso Aristotele afferma che tale era la tensione e il timore provati durante la visione delle tragedie che ne era sconsigliata la visione alle donne incinte per evitar loro l’aborto. Tuttavia, la tragedia aveva una funzione non solo ludica, ma soprattutto educativa/culturale per gli spettatori. L’insegnamento e la tradizione erano impartite tanto attraverso le scene quanto l’emozione forte e perturbante.

Ora sembra non essere più sufficiente. È dunque questa la nuova dimensione del terrore? Non è più sufficiente vedere l’orrore, ora lo si vuole vivere in prima persona.

Ecco il trailer di The Blackout Experiments

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