Nel 1976 usciva un horror eccentrico e ad oggi ancora poco conosciuto. La recensione di The Witch Who Came From the Sea

La sperimentazione narrativae l’eleganza si fondono in The Witch Who Came from the Sea, lungometraggio firmato Matt Cimber, che si avvalse del supporto del leggendario Dean Cundey in qualità di direttore della fotografia (il quale ricoprirà lo stesso ruolo nel primo HalloweenRitorno al Futuro e Jurassic Park). Uscito negli Stati Uniti nel 1976, il film scandaglia la psiche di una giovane donna e la sua progressiva caduta nel vortice della pazzia.

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La bella Molly, protagonista del film, potrebbe essere paragonata all’elemento fisico centrale dell’opera: il mare. Se si scalfisce la superficie di apparente equilibrio e grazia, ci si ritrova infatti negli abissi oscuri di un’anima tormentata e folle. Sin dai primi minuti lo spettatore si rende conto che qualcosa non va: nel corso di una passeggiata sulla spiaggia coi suoi due amati nipoti, Molly racconta loro, mitizzandole, le eccelse qualità morali del loro defunto nonno, sepolto in mare come si conviene a un capitano. L’occhio della protagonista è però distratto e attirato dalla presenza di un gruppo di body builders che stanno facendo esercizio sulla spiaggia. In una veloce escalation di pensieri, la protagonista si figura una fine atroce per gli aitanti uomini, vittime dei loro stessi attrezzi. Successivamente, il rapporto problematico con la sorella e alcune stranezze riveleranno sempre più la complessità di Molly, che si renderà autrice di molteplici delitti. Qual è il motivo della sua pazzia?

Uno dei grandi temi del film è quello, decisamente forte, della molestia sui bambini da parte del genitore. Per questo motivo il film andò incontro alla censura della Gran Bretagna, che nel 1983 lo incluse nella lista dei video nasty. Il rapporto padre-figlia si evolve in maniera molto particolare: se da bambina Millie ne è terrorizzata per evidenti ragioni, da grande lo mitizzerà all’estremo. Di grande impatto visivo la scena in cui la piccola Millie apre il suo armadio e vi trova rannicchiato il padre, nudo, pronto a perpetrare per l’ennesima volta il suo abuso (“we’ll get lost at sea together“). Il processo di mitizzazione della figura paterna è volto a cancellare, senza successo, la sofferenza di cui è stata vittima. Alla fine, infatti, i suoi demoni la trasformeranno in assassina.

Un altro elemento importante, che deriva da quello della molestia, è l’idea di virilità che ha la protagonista. Per Molly, l’uomo che ne incarna appieno le caratteristiche costituisce un’attrazione fatale. Questa fascinazione morbosa degenera però in voglia di distruggere coloro che la personificano – giocatori di football, un attore che fa pubblicità a un rasoio e i body builders. Paradossalmente, l’unico uomo col quale ha una relazione di affetto puro è il poco prestante “Long John”, barista per il quale lavora come cameriera. In effetti, la protagonista proietta inconsciamente i crimini del padre sugli esempi viventi del suo ideale.

L’ultimo tema da esplorare è quello della perfezione morale, declinazione di quello di virilità e base per la mitizzazione del padre. Nei suoi pensieri, Molly è figlia di un uomo tanto giusto da essere assimilabile a un dio: non a caso, questa associazione trova conferma nel fatto che nel film venga mostrata “La nascita di Venere” di Botticelli, nella quale la donna si rispecchia (la dea, vista anche come “strega”, sarebbe emersa dalle onde in seguito alla castrazione di Giove, i cui genitali caddero in mare). Per questo motivo, le azioni che compie sono al di sopra dei valori morali; per ristabilire una fantomatica giustizia, Molly è costretta a commettere i crimini più crudeli per poi lavare la sua anima nel “mare”, ricongiungendosi così al padre-dio. L’analogia più evidente del lungometraggio non può che essere quella fra il mare e la sessualità femminile, resa evidente dal tatuaggio, identico a quello che aveva il padre, che la donna si fa incidere sul ventre (una sirena che affiora dalle “onde” della zona pelvica).

Sebbene il regista Matt Cimber non fosse avvezzo alla direzione di film dell’orrore, ne risulta un’opera molto particolare, intelligente e ben costruita. La sceneggiatura fu scritta dal marito della protagonista, il cui padre era davvero un marinaio. Va inoltre sottolineata la grande performance di Millie Perkins, che veste i panni della protagonista. Purtroppo non esiste un’edizione italiana di questo film, che nel suo piccolo ha lasciato però un delicato ma incisivo segno nella storia dell’horror.

Titolo: The Witch Who Came From the Sea
Regia:
Matt Cimber
Attori: Millie Perkins, Lonny Chapman, Vanessa Brown
Genere: Horror
Durata: 83 minuti
Anno: 1976
Paese: USA

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