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Twin Peaks: Il Ritorno – Recensione episodio 3×03

La lunga discesa nell’incubo… e nei colpi di scena

Twin Peaks- Il Ritorno – Recensione episodio 3x03

Recensione del terzo episodio di Twin Peaks, terza stagione.

Twin Peaks- Il Ritorno – Recensione episodio 3×03

[Attenzione! L’articolo contiene spoiler.]

Un tuffo nel surrealismo più puro ed evocativo di Lynch. Non trovo un modo per definire in maniera più calzante la prima parte di questo terzo episodio di Twin Peaks. Attraverso lo sguardo smarrito di Cooper, siamo travolti con piena potenza dalla magia del no-sense onirico della Loggia Nera che nella sua allucinata trasposizione ricorda Eraserhead – La mente che cancella (1977) e Inland Empire – L’impero della mente (2006), altri capolavori di David Lynch.

Caduto all’esterno della stanza rossa, Dale Cooper si ritrova infatti in un luogo indefinito, una sorta di scatola di metallo, sospesa su un oceano di tenebra immerso in una spettrale aurora viola. Misterioso e angosciante, è un ambiente dove comunicare è quasi impossibile, mentre i movimenti sono distorti e scattosi. Nel profondo della Loggia, lontano dal nostro mondo, le lievi idiosincrasie degli spiriti qui sono rafforzate e le regole della logica svaniscono completamente. Perciò, una stanza in mezzo al mare si ritrova improvvisamente persa tra stelle. Volteggiante in questo firmamento, compare il volto del Maggiore Garland Briggs, una suggestiva resurrezione di Don S. Davis morto nel 2008, che pronuncia le parole “Rosa blu”. Non certo parole sconosciute per Cooper: nella pellicola Fuoco cammina con me, il nome “Rosa blu” era stato utilizzato dall’FBI per indicare i casi legati al soprannaturale. Cosa voglia dire Briggs in sostanza, però, non è dato ancora sapere.

Questo luogo e l’aiuto di due donne forniscono l’occasione a Cooper di fuggire verso il nostro mondo. Tuttavia, invece di reinserirsi nel suo corpo, l’uomo sostituisce nella realtà lo “spazio” occupato da un altro suo doppelgänger! Nel momento in cui l’agente inizia il suo viaggio extradimensionale, Dougie Jones, questo il nome del secondo doppio di Cooper, viene trasferito nella stanza rossa in presenza di Mike, spirito possessore simile a Bob ma di natura benevola, per poi svanire. Chi ha creato quest’altro doppelgänger? E qual è lo scopo di lasciare Cooper e il suo alter ego malvagio entrambi sullo stesso piano dimensionale?

Da Dougie Jones, mentre si trasforma in una sfera dorata, cade un indizio molto inquietante: l’anello del Nano. Che sia stato il Nano a creare Jones? Più di una volta in passato il Nano, entità soprannaturale residente nella Loggia Nera, aveva dimostrato una natura fortemente ambigua. Difatti, durante la serie era apparso nei sogni di Cooper per aiutarlo a rintracciare Bob, l’assassino di Laura Palmer, mentre in Fuoco cammina con me è proprio lui a stringere un patto con Bob per dei suoi tornaconti personali. Quando il Nano stipula accordi, infatti, ha l’abitudine di sigillarli attraverso il prestito di quell’anello e di usarlo come una sorta di “marchio”. In realtà, questo non è il primo riferimento al Nano. Già nel precedente episodio viene citata una sua storica frase dal neurone/albero: “Io sono il braccio e faccio questo suono”. Infatti, il Nano era stato generato da Mike come conseguenza della separazione dal suo braccio sinistro e da parte della sua essenza al fine di purificarsi dal suo passato criminoso. Sebbene non sia ancora apparso, la presenza del Nano si avverte già prepotente nell’aria. Se fosse stato il Nano a creare Jones, perché lo avrebbe fatto? Ma se questa speculazione fosse errata, come mai tutti questi accenni al Nano? E lui dove si trova?

Non facciamoci comunque impressionare dai problemi temporali riguardanti l’età di Dougie. Come dimostrato nelle precedenti puntate, la dimensione della Loggia Nera così come la sua sala d’attesa sono fuori dal tempo e, quindi, Jones potrebbe essere stato creato mentre Cooper era intrappolato e poi inserito nel passato. Tutto logico, lasciate fare a Lynch che lui le cose sa. E se non le sa, le inventa lui, dunque in ogni modo il problema non si pone.

Ovviamente, l’attraversamento dimensionale di Cooper non viene ignorato Bob il cui disagio è tale da rigurgitare quella che sembra essere garmonbozia, una sostanza tossica che incarna la sofferenza degli spiriti della Loggia Nera, oltre che una specie di droga e alimento per loro. Tuttavia, questi resiste all’invasione spirituale di Cooper, sviene e viene arrestato.

Ciò consente, dopo 26 anni, di ricondurre sulla nostra strada due altri memorabili personaggi di Twin Peaks: gli agenti dell’FBI Gordon Cole, un David Lynch più sordo che mai, e l’acido Albert Rosenfield, interpretato dall’amatissimo e recentemente scomparso Miguel Ferrer. La sua comparsa, ammetto, mi ha provocato un tuffo al cuore. Attendevo con trepidazione la sua entrata in scena, ma non immaginavo che sarebbe stato per me così doloroso. Deceduto questo gennaio, Twin Peaks è stato il suo ultimo lavoro. Godiamoci ogni episodio, perché sarà davvero l’ultimo per il nostro Ferrer/Albert.

Con l’arresto del “corpo” di Cooper, scomparso da anni, ora anche i suoi vecchi amici si apprestano ad incontralo, non immaginando certo chi indossi in realtà in suo volto.

Dopo il prologo introduttivo alla serie, in questo episodio si riprende un andamento più regolare e molta carne viene messa al fuoco. In particolare, applausi accorati vanno fatti all’interpretazione di Kyle MacLachlan che qui addirittura recita in ben tre ruoli (e mezzo, se pensiamo al confuso Cooper), dimostrando un istrionico talento non comune. MacLachlan riesce a passare con maestria da Cooper al bonario Dougie fino a regalarci un Bob carismatico dallo sguardo nero e “morto”, memento del suggestivo sguardo di Frank Silva, la sua precedente e iconica incarnazione attoriale. Inoltre, impersona il ritorno alla realtà di Cooper in maniera superlativa. Non certo l’agente equilibrato di un tempo, ma un uomo spezzato e dalla mente annebbiata, un po’ forse per il passaggio dimensionale traumatico, un po’ per il soggiorno prolungato nella stanza rossa. Come unico effetto personale legato al passato, a Cooper è rimasta solo la chiave della sua stanza d’albergo a Twin Peaks. Nient’altro. Tuttavia, Cooper non ricorda nulla adesso. Neppure chi sia. Non sarà facile, dunque, per lui tornare a casa.

In questo episodio, infine, fa ritorno un altro marchio di fabbrica della serie che era di certo mancato ai fan più affezionati: l’umorismo weird di Lynch. Ci sono stati alcuni momenti eclatanti tra cui il cartellino “Donut Disturb” con l’immagine di una ciambella attaccato ad un ufficio della polizia a Twin Peaks oppure le speculazioni su un possibile collegamento tra i conigli di cioccolata e il retaggio di Hawk. Per di più, il grido di Cooper “Hello!”, mentre vince alle slot machine, è già diventato un cult! Avete notato che Cooper vince 29 volte alle slot proprio quante sono tutte le puntate messe insieme delle due precedenti stagioni di Twin Peaks? E avete letto che la strada attraversata in macchina da Cooper e la prostituta si chiama “Sycamore”, proprio come la canzone “Sycamore Trees”, cantato da Jimmy Scott nell’episodio finale Attraverso la vita e la morte? Cosa avrà voluto comunicarci Lynch?

Perdonatemi. Magari sto degenerando, ma non è completamente colpa mia. È un po’ responsabilità di David Lynch. È la sindrome Twin Peaks!

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